Fiori sull’asfalto

di Massimiliano Renaud

Claudio passeggia piegando le ginocchia a tempo con ogni colpo di basso che le cuffie gli spingono all’interno delle orecchie. Mastica una gomma e continua ad alzare e riabbassare la visiera del cappello per far posto alla macchina fotografica che, di tanto in tanto, emerge dal petto e si piazza davanti all’occhio sinistro.
Un bambino che insegue un pallone. Click.
Una donna con due enormi borse della spesa che la fanno pendere pericolosamente verso un cancello ricoperto di edera. Click.
Il fumo di un sigaro sbuffato dalle labbra semichiuse di un uomo. Click.
Davanti a una porta verde con a fianco la doppia indicazione dello stesso civico numero diciannove, una canuta ottuagenaria ciondola seduta su una sedia con le gambe posteriori accorciate per compensare la pendenza della strada. Claudio allarga l’inquadratura fino a quando altre due porte con numeri i civici successivi non entrano nel campo visivo del suo teleobbiettivo: diciannove, diciannove, ventuno, ventitré: una serie imperfetta, tre porte e quattro numeri, due porte abitate e una che non lo è più. Click.
Riguarda la foto nel piccolo schermo della macchina, è la più bella della mattinata.

Dopo aver pranzato, Claudio si incammina verso il bar della piazza dove si unirà con il resto del branco.
In programma ci sono un paio di birre, l’inutile ricerca del mezzo milione nascosto sotto la polvere argentata di un grattino, e il solito sabato pomeriggio a gozzovigliare e lanciare palloni da basket contro il tabellone di un vecchio canestro arrugginito piantato sull’asfalto.
La musica di De André accompagna, come sempre, il pomeriggio del Bar Centrale. Alessio, il barista, ne ha fatto un culto e invece del crocifisso, appese alle pareti ci sono fotografie di Faber che sorvegliano i clienti come icone russe.
– Una Tennent’s.
– Per?
– Me
– Favore! Non te lo hanno mai insegnato a casa?
– Oddio, ma sei il barista o il prete del paese? Il tuo ruolo non dovrebbe essere quello di lamentarti del mondo bestemmiando da mattina a sera?
– Sì, cioè no, non sempre
– Ok, una Tennent’s per me e una “per favore”
– Tieni. E impara l’educazione una buona volta!
– Sì, certo. Anche un Milionario da cinque euro, per favore
– Vedi che se vuoi sei capace?
– Anzi no, oggi no
– Non è il giorno buono?
Claudio si passa l’indice e il pollice sul labbro inferiore facendo un rapido calcolo
– Forse si ma non per il gratta e vinci, ho quattro numeri e voglio provare a giocarli al lotto.
Detta i tre civici non doppi e la somma dei quattro della foto, diciannove, ventuno, ventitré e ottantadue
– Su quale ruota?
– Eh? Cosa vuol dire?
– Vuol dire che devi scegliere la città dove credi che verranno estratti i numeri. Oppure le scegli tutte ma se vinci, vinci meno
– Ah. E tu quale sceglieresti?
Il barista inclina la testa verso l’icona di De André appesa appena sopra la mensola dei superalcolici.
– Ok, vada per Genova. Eccoti cinque euro… Ma quando sono le estrazioni?
– La prossima è oggi, alle diciannove.

Il lunedì mattina, prima di andare a pascolare alla facoltà di lettere moderne, Claudio corre verso il bar di Alessio per prenotare la riscossione del premio: diciannove, ventuno, ottantadue.
Terno sulla magica ruota di Genova.
Cinquemilaseicentoventicinque euro.
Due incroci prima di arrivare al bar, si ferma a di nuovo a guardare il poker di numeri che lo aveva fatto diventare abbastanza ricco da potersi comprare una moto. Il sogno della sua breve vita.
Proprio sotto ai due diciannove, seduta sulla solita sedia asimmetrica, c’è di nuovo quella donna. Ma questa volta nota un particolare che qualche giorno prima gli era sfuggito: ai suoi piedi dell’anziana signora c’è un sottovaso sporco e pieno di monetine. Elemosina.
Uno schiocco di serratura devia il suo sguardo verso il portone del numero ventitré che, molto lentamente, sta rivelando la figura di un anziano che affida il suo precario equilibrio ad un bastone da passeggio.
Prima ancora di sentire un nuovo scattare di chiavi, si volta verso il civico ventuno che, come per l’effetto di un assurdo incantesimo, si apre lasciando uscire una donna.
– Buongiorno Francesca, buongiorno Maria
Saluta il traballante signore cercando con la mano un appiglio tra le sbarre di protezione di una finestra. Francesca e Maria ricambiano il saluto.
– Quando l’hanno portata via? Chiede Francesca
– Ieri mattina, intanto che eri a messa. Suo figlio Giovanni ha già appeso il cartello “IN VENDITA”, chissà come sarà contento di essersi liberato del peso di sua madre
Risponde Maria senza riuscire a nascondere la tristezza.
– È il nostro destino, Maria, i giovani si ricordano di noi solo a Natale e ai compleanni, dobbiamo rassegnarci
Sussurra l’uomo con tono triste
– No, caro, mia figlia non è come quel poco di buono. Non si è degnato di venirla ad aiutare nemmeno dopo che ha saputo della sua malattia. La vedevi anche tu, negli ultimi tempi sembra non riuscire più a muovere un muscolo, poveretta
– Cosa vuoi farci, noi dobbiamo ritenerci fortunati ad avere ancora qualcuno con cui parlare, almeno ci siamo stati noi a tenerle compagnia. Ecco, tieni, questo mese ho fatto avanzare qualcosa dalla minima
Il suono della moneta da due euro che tintinna nel sottovaso risveglia Claudio dal turbamento che lo aveva immobilizzato durante quella breve e straziante rappresentazione di arte drammatica
Riparte cercando di ritrovare il morale di quando aveva posato il primo piede giù dal letto qualche ora prima, ma deve faticare per riuscire ancora ad immaginare il manubrio luccicante della sua nuova moto.
Per aiutarsi a raddrizzare il morale, elenca fra sé tutti i lati positivi della giornata: i soldi arriveranno presto, il tempo è splendido, il Bar centrale è chiuso ma la concessionaria delle moto è aperta per la presentazione di un nuovo modello. Con il bottino che avrà presto disponibile non si potrà permettere l’ultima nata, ma riuscirà di certo a portare a casa un ottimo usato: in poche parole, il giorno perfetto.
Claudio ora corre lungo le vie del paese frenando appena in tempo per non venire investito da un trattore sferragliante, volta l’angolo in direzione della concessionaria e si prepara a versare l’acconto che darà inizio alla sua nuova vita da biker.

A un centinaio di metri di distanza, un carro funebre si trascina, lentissimo, seguito da quello che nessuno potrebbe definire un corteo: una manciata di uomini e donne sui cinquanta, un paio di sbarbati, due anziane a braccetto che sembrano reggersi a vicenda e un matusa vacillante appeso al suo bastone.
A Claudio è sufficiente una manciata di secondi per riconoscerli, sono i signori delle tre porte.
Prova ad allontanare la folata di tristezza che spinge una lacrima a cadergli dagli occhi, ma nonostante il tentativo di non farsi rovinare la giornata che aspettava da anni, non riesce a non vedere i volti dei suoi nonni, quelli ancora vivi, sovrapposti alle teste di quei vecchi. E poi quelle facce diventano quelle dei suoi genitori, soli, poveri e abbandonati.
Con gli occhi ben più che inumiditi prosegue il suo cammino, ma prima di entrare nella filiale della banca per prelevare l’acconto che verserà al concessionario, si guarda indietro una volta, poi una seconda, e poi una terza proprio un attimo prima di entrare nella bussola.
Quando esce con i suoi mille euro in contanti dalla filiale di Unicredit, la strada verso il concessionario è ormai completamente annebbiata dalle lacrime.
Si ferma e si siede su una panchina cercando di non farsi notare mentre prende il malloppo dallo zainetto. Le banconote frusciano fra le dita mentre le divide in tre parti: un terzo del denaro ritorna nella sua tasca e i restanti due terzi vengono a loro volta divisi in tre parti uguali.
Si rimette a camminare con le banconote strette nella mano nascosta dentro alla tasca dei bermuda, all’orizzonte l’insegna del bar chiuso, ma non è quello l’obiettivo.
Claudio raggiunge la porta verde con il doppio civico diciannove e infila qualche banconota nella cassetta della posta, poi fa lo stesso con la ventuno e con la ventitré, prima di ripartire verso il camposanto.
Il suo passo è lento ma la giovane età gli permette comunque di precedere la processione.
Si avvicina in silenzio alla lapide che farà da grigia insegna alla tomba dell’inquilina del civico diciannove della quale, finalmente, scopre il nome: Cornelia, proprio come la sua bisnonna.
Si china e posa sul marmo la foto di una casa rossa con tre porte verdi e quattro civici, dietro alla foto, scarabocchia al volo due parola con il pennarello che tiene sempre in tasca: mi dispiace.

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