La fuga di Butch

di Mattia Bragadini

La motocicletta, anzi il chopper, che era stato di Zed fendeva veloce l’Interstate 40; intorno a loro il deserto polveroso del New Mexico, alle loro spalle la sagoma di Albuquerque dove avevano passato la notte in un motel lungo la strada, dopo quasi 800 miglia trascorse in viaggio.
Butch era stravolto, ma voleva mettere più strada possibile tra loro e Los Angeles: sì, Marsellus Wallace gli aveva garantito un salvacondotto per la sua vita dopo che gli aveva salvato il culo, e non solo metaforicamente, nello scantinato del banco dei pegni, ma non si fidava affatto di quel negro, senza contare il cadavere di quello scagnozzo spalmato contro le piastrelle del suo bagno.
Fabienne sognava già un albergo pluristellato e una colazione con pancake e sciroppo d’acero, crostata di mele, toast ben dorati, uova col bacon, abbondante succo d’arancia e caffè con tanto latte e tanto zucchero, ma Butch le aveva spiegato che per il momento sarebbe stato meglio restare sottotraccia e accontentarsi del Super 8 Albuquerque East, non esattamente lo Sheraton. Una volta a Knoxville avrebbero iniziato la loro nuova vita, ma adesso occorreva pazientare e muoversi con cautela; invece, una volta entrati nella stanza del motel e posati i pochi bagagli, Fabienne aveva iniziato a mostrare i primi segni di insofferenza.

«Ma quanto manca a Knoxville?» gli aveva chiesto Fabienne come una bambina impaziente in gita con i genitori.
«Ancora un po’, piccola.»
«Un po’ quanto?»
«Il Tennessee è lontano, crostatina, è lontano… »
Fabienne aveva iniziato a piagnucolare rannicchiandosi su sé stessa. Era seduta sul letto ed indossava solo una lunga T-shirt che le faceva da camicia da notte, e se l’era tirata fino ai piedi. Chissà dov’era finito il suo reggiseno preferito. Butch l’aveva raggiunta.
«Ehi ehi ehi, cosa succede adesso? – le aveva chiesto accarezzandole una guancia dopo averle spostato una ciocca di capelli – Va tutto bene: siamo salvi, siamo vivi, siamo ricchi. Nessuno ci insegue più e presto inizieremo una nuova vita. E avrai tutto quello che vuoi.»
«Tutto quello che voglio?» Il viso di Fabienne era tornato a illuminarsi.
«Tutto.»
«Potrò fare colazione con i toast imburrati e la marmellata di mirtilli?»
«Certo!»
«E mi porterai a cena nei ristoranti francesi a bere champagne e mangiare ostriche?»
«Tutte le ostriche che vorrai!»
Fabienne aveva sorriso ma poi si era nuovamente rabbuiata.
«Ma io sono preoccupata…»
«Perché, mia dolce crème brulée
«Perché hanno detto che hai ucciso quel pugile, non è vero che siamo al sicuro: ti cercheranno. E poi non so cos’hai fatto della Honda, perché abbiamo questa motocicletta?»
«È un chopper, piccola.»
«Perché abbiamo questo chopper?»
«Facciamo così, Fabienne: ora mi faccio una doccia e tu vai a cercare qualcosa da mangiare al Seven-Eleven qua all’angolo. E poi davanti a un piatto di chili con carne ti racconto tutto. Che ne dici? »
«Posso prendere le patatine fritte?»
«Tutte quelle che vuoi.»
«Col ketchup?»
«Un mare di ketchup.»
«Vado!»

Butch era affamato e aveva mangiato una porzione di chili per quattro persone, innaffiandoli con due bottiglie di Corona dal pacco da sei che aveva comprato Fabienne. Non soddisfatto aveva divorato uno dei due burrito che la ragazza aveva preso per sé: dopo aver mangiato il primo si era infatti dedicata a una generosa fetta di cheesecake con la salsa di lamponi, lasciando il secondo al suo uomo. Poi si erano rimessi a letto, mentre Butch si era stappato la terza Corona e Fabienne sorseggiava la sua Sprite, il televisore a volume azzerato trasmetteva vecchi cartoni animati di Tom e Jerry, dalla stanza accanto arrivava la voce di Tom Petty che da una radio invitava a imparare a volare. E quanto avrebbe voluto volare via, Butch.
«Allora, mio piccolo biscotto alla cannella, la situazione è questa: è vero, ho ucciso un uomo, ma l’ho fatto sul ring e se quello fosse stato un pugile migliore ora sarebbe ancora vivo. La polizia non può arrestarmi per questo.»
«No?»
«No, non può. È stata una disgrazia. Però…»
«Però?»
«Però c’è dell’altro.»
«Che cosa? »
«Ho ucciso un altro uomo.»
Fabienne aveva ricominciato a piangere con piccoli lamenti:  «Ecco, lo sapevo…»
«Calma, calma! Ho dovuto farlo! Era lì con il suo fucile. Se non gli avessi sparato lui avrebbe ucciso me, lo capisci?»
Fabienne aveva annuito tra le lacrime.
«E quindi non posso arrestarti neanche per questo?»
«No, purtroppo in questo caso non posso dire che sia stata una disgrazia, ma la polizia ancora non mi sta cercando e la cosa più importante è che chi voleva uccidermi ora mi ha lasciato libero. Per questo dobbiamo andare il più lontano possibile da Los Angeles, dobbiamo farlo in fretta e non farci vedere troppo in giro.»
Fabienne sembrava tranquillizzarsi.
«Ok, e la motocicletta?»
«È un chopper.»
«E il chopper?»
«L’auto l’ho distrutta in un incidente, mi dispiace crostatina, non volevo. Ma quell’incidente è la ragione per cui chi mi voleva due metro sotto terra ora non mi insegue più. Ho preso il chopper in prestito dal mio amico Zed, ma Zed ora è morto e quindi posso tenerlo. Ma quando saremo a Knoxville ti comprerò una macchina nuova. Quella che vuoi.»
«Quella che voglio?»
«Quella che vuoi. Tutte più belle e potenti di quella fottutissima giapponese.»
«Anche una Camaro gialla decapottabile?»
«Se è quella che vuoi, sì!»
«Anche una macchina europea? Anche un BMW?»
«Ti compro tutta la Germania. E se la vuoi anche una cazzo di Ferrari.»
«Oooh…»
«Allora ti fidi di me?»
Fabienne aveva annuito poi si era accoccolata sul petto di Butch: «Ti amo.»
«Ti amo anch’io, pasticcino.»
«Posso farti godere con la bocca?»
«Sei sempre la benvenuta.»

La seconda tappa del viaggio era prevista ad Oklahoma City, con un’eventuale ultima sosta a Memphis, se il tragitto da lì a Knoxville fosse risultato troppo lungo per una sola tirata. Fabienne continuava a stringere la vita di Butch che guidava, nessuno dei due parlava, perché non c’era tanto da dire e perché il vento, a oltre 100 miglia all’ora, avrebbe reso inutile lo sforzo. Attorno all’interstatale, il deserto era interrotto solo da piccoli paesi perfetti come location per film western, e da rare stazioni di servizio all-inclusive: benzina, ristorante, camere. Ad una di queste Butch accostò per fare il pieno al chopper, mangiare qualcosa e riposare qualche minuto le braccia, intorpidite dopo ore di guida.
«Zuccherino, puoi pensare tu al pieno del chopper? Io devo sbrigare una faccenda in bagno.»
«Ok. Quanta benzina metto?»
«Il pieno, Fabienne, ho detto il pieno, Cristo santo! Ma sei idiota?»
Lei iniziò a piagnucolare: «Non mi devi parlare così, mi fai paura quando parli così.»
Butch fece due respiri profondi e si calmò: «Hai ragione, amore, scusami. Sai sono stanco, il viaggio e tutto. E poi ho fame e quando ho fame sono nervoso. Ti avevo detto di fare il pieno, forse non mi sono spiegato bene.»
«Va bene, però non mi devi più chiamare “idiota”.»
«Ok, promesso. Ora, per favore fai il pieno, io vado in bagno e quando torno andiamo a mangiare qualcosa. Vuoi?»
Fabienne annuì: «Sì, voglio.»
«Molto bene, torno subito.»
«Butch!»
«Cosa?»
«I soldi.»
«Prendi il mio giubbotto. Il portafogli è nella tasca interna.»

Butch si incamminò verso il retro della stazione, scuotendo la testa, e prese a calci la porta d’ingresso del bagno degli uomini per sfogare la rabbia, trattenendo a stento un urlo. Dopo essersi riabbottonato, si fermò davanti allo specchio, si lavò le mani, e fece un lungo respiro; sorrise alla sua immagine riflessa e ritrovò la calma: «Coraggio, vecchio Butch – disse a voce alta – è quasi fatta.»
Uscì dal bagno e si guardò intorno alla ricerca del chopper e di Fabienne, ma quando la vide il sangue gli si gelò: non aveva mai visto quello sguardo così cattivo sul viso della sua fidanzata, e soprattutto non le aveva mai visto in mano una Glock. Ed era puntata contro di lui.
«Fabienne! Ma sei impazzita? Da dove cazzo esce quella pistola? Posala subito!»
«Chi è???» urlò Fabienne, sventolando un cartellino di plastica in direzione di Butch.
Butch strinse gli occhi per cercare di mettere a fuoco, ma non capì: «Ma di che diavolo stai parlando?»
«Chi è… ES-MA-REL-DA VIL-LA LO-BOS?» sillabò Fabienne leggendo un nome dal cartellino.
«Ehi ehi, amore calmati…. Lo vedi? Quella è la targhetta di un taxi. È la tassista che mi ha trasportato via dall’incontro, ricordi?»
«E perché cazzo c’è un numero di cellulare scritto qua dietro?»
«Fabienne, lei è l’unica persona che mi ha visto quella sera, l’unica che sa dove mi ha portato. Devo poterla rintracciare se qualcosa fosse andato male, lo capisci?»
«Balle! Tu te la scopi!»
«Amore, abbassa quella pistola e parliamone.»
«E non chiamarmi amore, brutto stronzo!»
Fabienne non si rese neanche conto di aver fatto pressione sul grilletto, il silenziatore aveva attutito lo sparo, il rinculo era stato minimo e realizzò quello che aveva fatto solo quando vide il corpo di Butch volare contro la porta dei bagni come una marionetta. Guardò la pistola, era la prima volta che si ritrovava un’arma tra le mani; tuttavia era stato facile, proprio come le aveva detto Marsellus Wallace quando gliel’aveva consegnata. Allora aveva pensato che non l’avrebbe mai usata veramente, non contro il suo Butch, ma non poteva sopportare il tradimento: lei non lo aveva venduto, nemmeno per tutti i soldi promessi da Marsellus, lui invece… con una tassista, poi.

Rimise la Glock nella borsetta e si allontanò veloce dalla zona dei bagni, nessuno sembrava aver visto o sentito niente. Girato l’angolo, le si fece incontro il ragazzo della pompa di benzina: «La sua motocicletta è pronta, signorina.»
«È un chopper, tesoro, è un chopper.»

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