Linea rossa

di Massimiliano Renaud

Alberto scende di corsa le scale illuminate dal neon giallastro della stazione Metro di Villa San Giovanni. Con le mani in tasca e la musica nelle orecchie, sguscia tra la folla ammassata sui pavimenti plastificati e raggiunge la banchina dalla quale sta per partire un convoglio con direzione Duomo.
Anche questo sabato Carolina sta per salire sul treno che la condurrà all’appuntamento con le amiche per dedicarsi al consueto trittico shopping- aperitivo-sushi e anche questo sabato, lui la sta seguendo sperando di riuscire a trovare un pretesto per rivolgerle la parola prima di percorrere le undici fermate che li separano dalla meta.
Un attimo prima che le porte inizino la procedura di chiusura, Alberto fa un balzo e riesce a infilarsi nel vagone dove il suo amore segreto si è appena accomodato in un posto libero vicino al finestrino.
Il sedile a fianco di Carolina è libero.
Lui, finalmente deciso a portare a termine la sua missione dopo mesi tentennamenti che non hanno portato a nulla, se non venire casualmente a conoscenza del nome di lei, trascina le gambe tremanti verso l’obbiettivo e le si siede accanto

“No”
“Come sarebbe a dire, no?”
“Sarebbe a dire che non mi siederò di fianco a lei. Non ne ho il coraggio.”
“Senti, lo scrittore sono io e tu fai quello che ti dico.”
“E invece no, la vita è la mia e ne faccio ciò che voglio.”
“La vita è tua? Ma se sono io che ti ho creato! Sai che se volessi potrei farti investire da un tram appena sbuchi in piazza Duomo, vero?”
“Ah sì? Provaci! Non avrai mai il coraggio di far morire un bel personaggio come me.”
“Innanzitutto chi ha detto che tu sia bello? Non ti ho ancora nemmeno descritto. E poi ti ho immaginato solo mezz’ora fa, non mi sono ancora affezionato a te.”
“Non mi avrai descritto, ma se dovrò conquistare una ragazza non puoi certo farmi brutto, altrimenti ti complicheresti troppo la vita per un eventuale lieto fine. Giusto?”
“Sentimi bene, tu adesso taci e…”
“Poi mi hai fatto timido, quindi ti faccio tenerezza, se volessi farmi fuori subito mi avresti fatto arrogante e antipatico. Giusto?”
“Oh mio Dio, scrivere è già difficile di suo, ci mancava solo il protagonista di un racconto che si fa il profilo psicologico. Ascolta, bamboccio, non ho tempo da perdere e ho mille altre storie da scrivere. Adesso tu ti siedi buono buono su quel sedile, altrimenti cancello questo file e la tua Carolina se la farà qualcun altro.”
“Ok, ok, non prendiamo decisioni affrettate, adesso mi siedo. Ma se andrà male, non dire che non ti avevo avvisato.”
“Se andrà male sarà perché a me andava di farla andar male e se vai avanti così, mi sa tanto che dovrai rassegnarti a diventare una delle mie tante idee inutili.

Prima di sedersi, Alberto fa un cenno alla ragazza per chiedere se il posto è libero. Dopo il leggero movimento del capo di lei in segno di assenso, si accomoda seguendo il ritmo che le air pod gli iniettano nel cranio.
Il ragazzo si guarda intorno cercando tra le facce multicolore degli abitanti della periferia milanese qualche argomento sensato da proporre alla ragazza, qualcosa di assolutamente originale, qualcosa che faccia colpo, qualcosa che a nessuno verrebbe mai in mente di dirle.
Intanto, la voce metallica annuncia l’imminente tappa del treno il cui nome si adatta piuttosto bene allo stato d’animo del timido Casanova.
Prossima fermata: Precotto.
Strusciata di mani sudate sui jeans, cuffie sfilate dalle orecchie, passata di lingua sulle labbra secche, posizione simil disinvolta e lunghissimo respiro.
“Ok, forza, mancano solo dieci fermate” bisbiglia fra sé “coraggio, dille qualcosa di intelligente che non sia noioso e assolutamente imprevedibile.”
“Scusa, sai dirmi che ore sono?”

“Sai dirmi che ore sono? Ma che cazzo di scrittore sei? Hai meno fantasia della traversina di un binario!”
“È un grande classico, vedrai che funzionerà, fidati di me.”
“Ma ho l’orologio al polso e l’i-phone in mano! Farò la figura dell’idiota!”
“Certo, ma in qualche modo si deve rompere il ghiaccio, no? E poi lei capirà subito che in realtà hai voglia di conoscerla, è ovvio che non hai bisogno di sapere l’ora.”
“Beh, si, in effetti…”
“Adesso concentrati, sta per risponderti.” 

“Le tre e dieci.”
“Grazie.”
“Ti si sono rotti sia l’orologio che il cellulare?”

“Ecco, hai visto? Che bella figura di merda mi hai fatto fare!”
“Rispondile, invece di stressarmi.”

“Si, cioè no, ecco, io, veramente…”

“Dimmi, scrittore, farmi balbettare era l’arma vincente del tuo arsenale?”
“Bla, bla, bla…”
“No, dico davvero, non ti è venuto in mente nulla di più brillante?”
“Bla, bla, bla…”
“Guarda che stai mandando tutto all’aria!”
“Bla, bla, bla…”
“Se mi fai sbagliare qui non la raddrizzi più, credimi perdio!”
“Taci e ascolta cos’ha da dirti, rompicoglioni.

“Beh, non importa, ti ho già visto un sacco di volte su questo treno e, ad essere sincera, speravo che prima o poi mi avresti rivolto la parola…”
“Ah, davvero?”
“Davvero.”
“Vuoi sapere una cosa? Adesso che mi ci fai pensare, anche il tuo volto ha qualcosa di familiare.”

“Qualcosa di familiare? Ma se la pedino da tre mesi!”
“Cristo santo, ci vuole un po’ di dignità. E poi non puoi dirle che la segui come un segugio o ti denuncerà per molestie.”
“Ma voglio che sappia che lei mi piace da morire, non voglio tirarmela!”
“Ti ho detto di fidarti, fra poco sveleremo tutto. Adesso ascoltala.

“Bene, allora, adesso che ci siamo finalmente conosciuti potresti dirmi come ti chiami.”
“Si, certo. Io sono Alberto.”
“Piacere, Alberto, io sono Carolina.”
“Si, lo so… Cioè, volevo dire, bel nome…”
“Grazie. Ma, qualcosa non va? Mi sembri un po’ teso.”
“No, no, va tutto bene, benissimo.”

“Cavolo, fai qualcosa scrittore! Se continuo così troverà una scusa per scendere alla prossima fermata e si farà mezza Milano a piedi pur di non dovermi sopportare. Per poco non le dicevo che so già come si chiama!”
“Non preoccuparti, la tattica cucciolone ansioso funziona sempre, le farai tenerezza.”
“Il confine fra tenerezza e pena è molto labile, tienilo presente.”
“È il mio lavoro, pivello, tu cerca almeno di non fare quella faccia da cane legato al guardrail, per favore.

“Come mai prendi anche tu questo treno tutti i sabati alla stessa ora?”
“E tu come fai a saperlo?”
“Te l’ho detto, è da un po’ che ti vedo fare questo tragitto. O forse mi sbaglio?”
“In effetti non ti sbagli, è da qualche tempo che ho l’appuntamento perpetuo con i miei amici in piazza Duomo, un po’ come te…”

“Cazzo no! Questo è un autogoal! Prima mi dici che non devo passare da molestatore e adesso salta fuori che so perfettamente dove sta andando senza averle mai parlato prima. Ma bravo! Bravissimo! I miei complimenti!”
“Ti facilito il lavoro, stai calmo, idiota”.

“E tu come lo sai? Mi hai seguita?”
“Si, cioè, no, insomma, non volontariamente.”
“In che senso?”
“Nel senso che quasi tutti quella della nostra età passano il pomeriggio in centro a cazzeggiare. E…”
“E…?”
“E allora ci siamo trovati tante volte a percorrere la stessa strada. E…”
“E…”
“E poi…”
“E poi…?”
“E poi qualche volta ti ho vista alla Terrazza con le tue amiche…”
“Quindi, mi sembra di capire che per te il mio volto sia qualcosa di più di vagamente familiare…”

“Merda. E adesso? Mi ha scoperto.”
“Scusami eh, ma non siamo qui per questo?”
“Si, ma siamo andati troppo in fretta.”
“Tre mesi per un ciao ti sembra troppo in fretta?”
“Ok, stavolta hai ragione. Allora forza, stupiscimi!

“Ok, mi hai scoperto, sono colpevole.”
“Colpevole?”
“Si.”
“E di cosa?”
“Di averti notato e di aver preso questo treno ogni sabato da almeno un paio di mesi a questa parte sperando di rivederti. E anche di non aver trovato il coraggio di parlarti prima.”

“Così si fa, scrittore! Fanculo la dignità! Giochiamoci tutto, perdio!

“Ah…”
“Tutto questo ti mette ansia?”
“No, dovrebbe?”
“No, per carità, solo che dopo il mio outing ti è uscita una strana espressione sulla faccia.”
“Non sono brava a nascondere quello che provo.”
“E…”
“E quello che provo non è paura, stai pure tranquillo.”
“E…”
“E forse è un misto di stupore, gioia, un pizzico di rimpianto…”
“Lo stupore e la gioia arrivo a capirli e non posso che goderne, ma il rimpianto? Non siamo mica morti e non abbiamo neanche novantasei anni, no? Credo potremo recuperare in fretta questi mesi buttati al vento. Chissà, potrebbe anche finire che ci metteremo insieme!”

“Ci metteremo insieme? Ma sei pazzo? Lo capisco anch’io che è prematuro!”
“Tranquillo, è solo per tastarle il polso. Se se ne andrà in silenzio fingendo di chiamare una sua amica sarà tutto finito, se sorriderà dicendoti che stai correndo troppo, è praticamente fatta.”
“Se, se, se, ma tu stai giocando con i miei sentimenti! Chi ti dice che io abbia voglia di assumermi questo rischio?”
“Chi me lo dice? Me lo dico io, guarda qui: Alberto ha voglia di assumersi questo rischio. Senti, la storia che ho in mente prevede che tu la smetta di essere un bel ragazzo sfigato e senza palle e questo è il momento di fare il salto di qualità.”
“Ah, allora sono bello… Lo sapevo…”
“Si, sei bello, ma adesso non c’entra nulla.”
“C’entra eccome! Adesso che so di essere bello ho molta più fiducia in me stesso. Non potevi dirmelo prima? Dai, forza, all in!

Carolina volta la testa verso quella di Alberto e lo guarda con un sorriso imbarazzato. Gli occhi si abbassano e le guance si arrossano.
“Metterci insieme? Non ti sembra di correre un po’ troppo?”

“Bingo, scrittore!”
“Non avevo dubbi, d’altra parte, la storia la invento io… Dai, rispondi.

“Si, no, certo, era per dire che abbiamo tutto il tempo di conoscerci!”
“Ah, ecco.”
Nel frattempo, le fermate da Gorla a Palestro sono passate veloci come una Ferrari sul rettilineo di Monza e San Babila è solo a un paio di curve di Metrò.

“Scrittore, adesso cosa faccio? Non voglio essere troppo pressante, l’uscita del mettersi insieme l’ha fatta diventare seria e ha smesso di parlare da più di un minuto!”
“Sii naturale.”
“Naturale? Ma se sono tirato come un arco.”
“Stai sereno, non farti vedere teso.”
“Ma io SONO teso! Aspetto questo giorno da tre mesi!

San Babila. Annuncia la signora di metallo dagli altoparlanti.
Prossima fermata, Duomo.

“Ecco! Ci siamo! Fai qualcosa!

“Io scendo alla prossima, ma lo sai già, giusto?”
“Si, scendo anch’io, magari ti accompagno dalle tue amiche.”
“Ecco, veramente, preferirei andare da sola. Ci incontriamo all’uscita della metropolitana e, sai com’è, se mi vedessero con un ragazzo mi riempirebbero di domande tutto il pomeriggio… Mi capisci, vero?”

“Eccoci qua. Dopo una risposta del genere, questa presunta storia d’amore non riuscirebbe a tenerla in piedi neanche Moccia…”
“Moccia lo dici a tua sorella.”
“Ma lascia stare dai, ti piacerebbe essere Moccia.”
“Ah si?”
“Si.”
“Ok.

Alberto si infila un dito nel naso e proprio nel momento in cui tenta con indifferenza di attaccare un grumo verde e mucoso sotto al sedile, Carolina si volta verso di lui. Il ragazzo, preso dal panico, lascia partire un peto che trasforma il vagone della metropolitana nella camera a gas di “Fotoromanza”.

“Ok, ok, ti chiedo scusa per la storia di Moccia ma ti prego, ti scongiuro di non farmi fare questa fine di merda, anche i personaggi inventati hanno dei sentimenti…”
“Molto bene, riscriverò le ultime tre righe, ma alla prossima protesta di faccio pisciare sotto come un neonato. E farò in modo che lei se ne accorga.”
“Non parlo più. Promesso.”

Alberto si gira di scatto verso l’altro lato del treno per non mostrare lo sconforto e fa accidentalmente cadere il suo zainetto fra piedi della ragazza. Si prende altri cinque secondi per ripristinare un finto sorriso poi si volta verso Carolina che, nel frattempo, gli sta porgendo il suo Eastpak grigio.

A sbriciolare il poco buon umore rimasto intatto nell’animo del ragazzo, l’annuncio arriva tagliente come la lama di una ghigliottina: Duomo. Prossima fermata: Cordusio.

“Si, certo, ci mancherebbe. Capisco perfettamente.”
“Ecco, siamo arrivati. Allora…io vado.”
“Scendo anch’io, uscirò dall’altra porta così nessuno ci vedrà insieme.”
“Oddio, adesso non esageriamo, le altre arrivano a piedi in superficie o dalla linea gialla, possiamo anche salutarci sulle scale mobili.”
I due ragazzi scendono dal treno e si infilano uno dopo l’altro sui gradini di acciaio e plastica che compaiono dal sottosuolo in successione. Carolina prende il cellulare per avvisare le amiche del suo arrivo e Alberto fissa, senza vederle, le persone che scendono verso i binari al di là del corrimano.
“Bene, eccoci qua” dice con un sospiro Carolina una volta raggiunto il piano zero.
“Eh già, eccoci qua. Ti auguro un buon pomeriggio e…speriamo di rivederci in giro.”
“Grazie, buon pomeriggio anche a te! Rivederci in giro per Milano non sarà facile ma, magari, ci incontreremo ancora sulla Metropolitana.”
“Si, certo, perché no. Allora, ciao, Carolina.”
“Ciao, Alberto.”

Piazza Duomo con il sole è bellissima, i piccioni si riuniscono intorno ai bambini che lanciano briciole di pane, le ragazze camminano a braccetto guardando le vetrine della Rinascente e i ragazzi le osservano passare, esternando commenti piccanti, dai tavolini dei bar all’aperto.
Tutte le persone sembrano felici, tranne una.

“Scusami eh, ma io non ce la faccio a starmene zitto! Hai visto cos’hai combinato, genio? È chiaro che quella delle amiche era tutta una scusa, mi ha scaricato come un camion di ghiaia in un cantiere perché si è spaventata con quella storia del metterci insieme! Com’era la tua teoria? Se ti dirà che corri troppo sarà fatta! Ma fatta cosa? Hai rovinato tutto!”
“Mamma mia, quanto sei pesante…

In preda a una crisi di nervi incontrollabile, Alberto si toglie lo zainetto dalle spalle e apre la cerniera della tasca esterna per prendere un gomma da masticare. Fruga per qualche secondo alla ricerca del pacchetto argentato e tra fazzoletti di carta usati, cellulare, occhiali da sole, chiavi di casa e auricolari vari, trova un biglietto piegato in quattro parti.

366/5941796 C.

“Allora?”
“Sai cosa ti dico, scrittore, un giorno lo Strega sarà tuo…”
“Se vincerò lo Strega non lo so, ma sicuramente il mio prossimo protagonista non sarai tu. Sei insopportabile.”
“Come non sarò io? Non la vogliamo fare andare avanti questa storia?”
“Piuttosto mi butto nei Navigli con una cravatta di sassi.”
“Ma, proprio adesso che ho il numero di telefono…”
“Grazie a…?”
“Si, si, grazie a te, e infatti non posso credere che tu voglia gettare all’aria una trama così ben congegnata!”
“Paraculo del cazzo.”
“Dai, scrittore! Ti prego!”
“Ascolta, adesso vado a dormire perché sono stanco. Ci penserò su, se dovessi mai tornarmi in mente vedrò di buttar giù qualcosa ma non posso garantirti nulla. Sai com’è, noi artisti siamo imprevedibili…”
“Si, però io…”

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