Parmigianino – Gli ultimi anni di un giovane genio – Capitolo V

Le critiche ai freschi e la politica

di Massimiliano Renaud

 

Alla metà di febbraio dell’anno 1535 arrivò finalmente un nuovo carico di cinquecento fogli d’oro che gli permise di ricoprire otto dei quattordici rosoni da collocare nei loro lacunari, e in attesa che venissero piazzati dai fabbricieri si dedicò alla raffigurazione del Mosè e di Aronne.
Nonostante i lavori sembrassero essere finalmente ripartiti, anche nei mesi successivi le critiche rivolte ai freschi non cessarono, anzi, ne ricevette anche da chi lo aveva sempre difeso.
In una mattinata di fine estate, infatti, Damiano De Pietà fece visita all’amico pittore e lo trovò inerpicato sui ponteggi intento a terminare gli ultimi ritocchi di Eva.
“Buongiorno, Francesco.”
“Damiano, che piacere vederti. Sei venuto a controllare che il lavoro proceda?”
“In realtà volevo soltanto salutarti ma, se me lo permetti, sarei felice di dare un’occhiata al tuo capolavoro.”
“Sai che non permetto a nessuno di osservare le mie opere fino a quando non le ho completate ma per te, amico mio, farò un’eccezione.”
L’architetto attraversò la botola e raggiunge il Parmigianino all’ultimo piano del ponteggio, quando alzò lo sguardo verso il soffitto rimase sbalordito da ciò che si trovò davanti.
“Cosa ti succede, sembra tu abbia appena visto uno spettro!” Disse Francesco cogliendo l’espressione turbata del De Pietà.
“Francesco, il volto di Eva è quello di…”
“Si, Damiano, è proprio il suo. Devo ammettere che sei un buon osservatore.”
“Francesco, tu sei pazzo! Come puoi pensare di dare ad Eva il volto di Paola Gonzaga, moglie di Gian Galeazzo Sanvitale, proprio ora che Papa Paolo III ha tacciato come ribelle quel ramo della famiglia e ha inquisito tutti i suoi membri bandendoli addirittura dalla città!”
“Sei troppo tragico, Damiano, quello che ho dipinto è un volto come tanti, potrebbe essere chiunque.”
“Dal momento che l’ho riconosciuta al primo sguardo, direi proprio che non è così. Sei una grande artista e un maestro nel ritrarre le persone, nessuno potrà pensare che si tratti di una coincidenza.”
“Paola è stata la mia musa ispiratrice per decine di bozze, tele e freschi meno importanti di questo, e non ho mai ricevuto alcuna critica. Anzi, ho addirittura deciso di usare come modello il suo volto per la pala d’altare che mi ha commissionato Elena Baiardi.”
“Se quel viso comparirà in opere commissionate da privati cittadini nessuno avrà nulla da ridire, ma se qualcuno dovesse riconoscere il volto della Gonzaga su queste pareti la tua situazione diventerebbe ancor più grave di quanto già non sia. Francesco, modifica quei lineamenti o alle accuse di alchimia ed eresia potrebbe aggiungersi anche quella di tradimento.”
“Ti ringrazio per l’ennesimo buon consiglio, ma sono un inguaribile testardo e non accetto che mi venga imposto cosa dipingere. Il contratto sottoscritto con i fabbricieri prevede la mia totale libertà sulla scelta dei soggetti e da artista quale sono, non ho intenzione di privarmi di questo insindacabile diritto.”
L’architetto, rassegnato, si limitò a fare un lungo sospiro e scese senza parlare dal soppalco lasciando Francesco intento ad armeggiare con colori e pennelli.

Alla fine di settembre dell’anno 1535, Francesco venne convocato ancora una volta dalla Confraternita della Steccata a presentarsi davanti al sindaco Girolamo Piazza.
Prima ancora di prendere posto nello scranno da “imputato”, il Parmigianino notò che tra i membri della confraternita mancava la rassicurante figura di Francesco Baiardi.
Il primo pensiero che gli passò per la mente, dopo aver scorso inutilmente i volti dei confratelli con lo sguardo alla ricerca del suo protettore, fu il terrore di una congiura contro di lui.
Perché non era presente? Non era stato avvisato dell’incontro? Era stato costretto a rinunciare con qualche minaccia? Oppure si era semplicemente pentito della scelta di prenderlo sotto alla sua ala protettrice e aveva deciso di abbandonarlo al suo destino?
A interrompere i suoi tormenti arrivò la voce tuonante di Girolamo Piazza.
“Francesco Mazzola, ci troviamo ancora di fronte nonostante i nostri numerosi richiami, a quanto pare.”
“Non vi sbagliate, ma se ci stiamo di nuovo guardando negli occhi non è certo per colpa del sottoscritto, signore.”
“Cosa vorreste insinuare? Volete continuare ad incolpare la Confraternita per la vostra inaccettabile lentezza nel lavoro? Lentezza dovuta evidentemente al vostro carattere, alla vostra scarsa attitudine al lavoro e, chissà, forse anche alla pratica dell’alchimia che qualcuno in città vi accusa di praticare.”
Le parole del sindaco fecero trasalire per un attimo Francesco, che ebbe bisogno di alcuni istanti per trovare la forza di ribattere.
“Queste vostre accuse sono ridicole!” Sbottò senza più alcun riguardo per l’autorità che lo stava giudicando. “Sarò io a denunciare voi per le vostre inadempienze!”
“Come vi permettete! Non osate mai più rivolgervi con questi toni a un membro della Confraternita o finirete imprigionato prima ancora che abbiate il tempo di emettere un respiro! E fin da ora vi intimo di restituire il denaro con il quale siete stato inutilmente pagato per quattro anni! I lavori della Steccata verranno affidati a qualche vostro collega più affidabile di voi!”
Francesco sussultò nell’udire le ultime parole di Girolamo Piazza, si era già reso conto di aver superato il limite e le minacce che gli erano state rivolte lo convinsero subito a cambiare il tono della voce.
“Vi domando scusa, ma voi non immaginate nemmeno quale importanza abbia nella mia misera esistenza avere l’onore di affrescare una chiesa dell’importanza di Santa Maria della Steccata. Ed è per questo che le accuse di scarsa volontà nel portare al termine il lavoro mi offendono fino a farmi perdere il controllo, cosa di cui mi sono già pentito.”
Parmigianino prese fiato e ricominciò a parlare, notando che gli sguardi truci dei membri della Confraternita sembravano distendersi dopo le sue scuse.
“Ho avuto del nuovo oro, ve ne do atto, ma non è ancora sufficiente. L’ho lavorato personalmente mettendo a rischio l’incolumità delle mie mani, unico mio strumento di lavoro, soltanto perché i vostri doratori non si presentano mai al cantiere, così come i manovali che dovrebbero piazzare gli otto rosoni che sono riuscito a dorare. E il premio per aver rischiato la mia intera esistenza, perché se mi fossi bruciato le dita fondendo l’oro noi non avrei avuto più nulla di che vivere, qual è stato? L’accusa di praticare l’alchimia. Credetemi, signori, coloro che mettono in giro certe voci sono soltanto esseri invidiosi dell’incarico che mi avete affidato. Con tutto il lavoro che c’è ancora da fare, non ho certo il tempo di dedicarmi alla ricerca della pietra filosofale.”
Ascoltate le scuse e le motivazioni del maestro, i confratelli lo fecero allontanare dalla sala per qualche minuto e lo condussero in una piccola stanza illuminata soltanto da una finestrella dalla quale entrava un sottile raggio di sole.
La polvere danzava nel fascio di luce come i pensieri danzavano nella testa di Francesco: avrò compromesso tutto? Accetteranno le mie scuse? D’altra parte, è palese la mia ragione, non possono negare i fatti. Invece sì che possono, possono fare tutto ciò che vogliono, anche farmi arrestare.
“Venite, messer Mazzola”
La voce proveniente dal salone lo risvegliò dai suoi pensieri.
“Venite, sedetevi.” Esordì il Piazza serioso. “Tenendo ben conto che il lavoro svolto fino ad oggi è evidentemente insufficiente, non possiamo non considerare che in minima parte è stato svolto e affidare ad altro artista un’opera iniziata è sempre alquanto rischioso. Considerando perciò le vostre scuse e le rassicurazioni che ci avete fornito in merito a pratiche assai sgradite alla madre Chiesa, abbiamo deciso di concedervi un’ultima proroga di un altro anno. I lavori dovranno dunque essere ultimati entro il mese di settembre dell’anno 1536, pena la restituzione di tutto il denaro da noi corrispostovi e l’accusa di inadempienza dalla quale dovrete difendervi in un tribunale.”

Incassate assoluzione e proroga dei lavori, Francesco corse dritto a casa dell’amico De Pietà per riferirgli dei fatti appena accaduti e delle sue preoccupazioni, l’assenza del Baiardi all’incontro con la confraternita lo aveva spaventato.
Bussò alla porta e fu proprio l’amico architetto ad aprirgli.
“Damiano! Per fortuna sei in casa!”
“Buongiorno anche a te, Francesco… Cosa succede? Sembra ti abbia inseguito un lupo!”
“Peggio, Damiano, molto peggio, oggi sono stato aggredito addirittura da un branco di lupi che volevano la mia rovina e non c’era nessuno a prendere le mie difese!”
“Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che sono stato nuovamente accusato dalla Confraternita per la lentezza del mio lavoro, sono stato minacciato di dover restituire tutto il compenso che mi è stato pagato fino ad oggi e, cosa ben peggiore, di dover abbandonare per sempre il cantiere della Steccata. E il cavalier Baiardi, come sicuramente saprai, non era presente!”
“Il cavaliere si trova fuori città, è per questo che non ha potuto presenziare.”
“Probabilmente qualcuno era a conoscenza dei suoi impegni e avrà organizzato la mia convocazione in base a quelli. Ah, quasi dimenticavo, sono venute di nuovo a galla le accuse di praticare l’alchimia, spero di averli convinti che non ho nulla a che fare con certe cose…”
“Sono certo che si tratti dell’ennesima trama maligna ordita dal Dalla Rosa e dal Bedoli per costringerti ad abbandonare il tuo lavoro. E ho anche il sospetto che dietro a tutta questa vicenda ora possa esserci addirittura il Papa Farnese.”
“Paolo III? E perché mai dovrebbe tramare conto di me? Non l’ho mai nemmeno conosciuto!”
“Tu non sei l’obiettivo che il Pontefice vuole colpire ma solo il mezzo per creare dissidi e intaccare il potere delle famiglie più in vista della città.”
“I tuoi sono discorsi troppo complicati, non riesco a immaginare quale potrebbe essere il mio ruolo in tutto questo.”
“Parmigianino caro, forse non ti rendi nemmeno conto di quanto tu sia diventato celebre grazie ai tuoi dipinti. Il Papa non ti conosce, è vero, ma senza alcun dubbio gli sarà giunta voce delle accuse, seppur false, che ti vengono rivolte, dall’alchimia al sospetto di aver utilizzato simboli pagani.”
“Va bene, ammettiamo che tu abbia ragione, ma perché un Papa che è stato Vescovo della nostra città avrebbe interesse a indebolire famiglie parmigiane e, soprattutto, come potrei essere il mezzo per mettere in pratica un simile piano?”
“Francesco, rifletti, il Dalla Rosa è il tuo committente e il Baiardi è il tuo nuovo protettore, se Paolo III fomentasse le accuse che ti vengono rivolte e le rendesse di pubblico dominio l’onore e la credibilità di entrambi verrebbe minata.”
“Forse hai ragione, ma a quale scopo farebbe tutto questo?”
“Il Farnese sta cercando il modo di affidare Parma a quell’incapace di suo figlio Pierluigi e l’unica maniera che ha per farlo è gettare fango su chi ha il controllo della città. Le accuse rivolte a te, dunque, ricadranno su chi ti sta difendendo e su chi ti ha commissionato il lavoro, indebolendone l’onore e fornendo al Pontefice il pretesto per un colpo di spugna.”
Francesco ascoltò incredulo le parole dell’amico e tutto a un tratto gli sembrò di vivere un incubo dal quale non si sarebbe mai potuto svegliare.
Dopo essersi accomiatato dal De Pietà, rifletté su come quel cantiere stesse rovinando la sua esistenza e per la prima volta pensò di abbandonare il lavoro in Santa Maria della Steccata.

L’anno 1536 iniziò con la consegna di 800 fogli d’oro e i lavori sembrarono procedere senza intoppi fino alla primavera del 1537 quando il podestà di Parma Giovan Angelo de’ Medici, su commissione della Confraternita della Steccata, presentò al maestro un mandato di risarcimento degli anticipi corrisposti con le solite accuse di inadempienza. Ma ancora una volta l’intervento del Baiardi gli permise di proseguire l’esecuzione degli affreschi e di ottenere altri cinquanta scudi per retribuire i garzoni e garantirsi il sostentamento.
Nonostante la concessione dell’ennesima proroga e del denaro, durante la seconda metà dell’anno 1537 il Parmigianino dovette sopportare critiche dal Dalla Rosa che, come previsto dal De Pietà, aveva riconosciuto nel volto di Eva quello di Paola Gonzaga di Sabbioneta.
Tutto questo, unito ai dissidi degli ultimi anni, aggravò irrimediabilmente la sua situazione agli occhi del suo vecchio protettore, divenuto ormai suo nemico.

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