Parmigianino – Gli ultimi anni di un giovane genio – Capitolo I

Il ritorno a Parma

di Massimiliano Renaud

L’uomo fissava un nodo del legno di uno dei tavolacci dell’Osteria del Sole, trangugiando avidamente un pezzo di salsiccia innaffiato con un barbera dei colli bolognesi.
Il dito calloso scorreva tra le venature come se stesse componendo un disegno mai nato se non nella sua fantasia. L’opera immaginaria doveva in qualche modo piacergli perché dopo aver tracciato curve e arzigogoli invisibili per almeno un quarto d’ora, si lasciò scappare un sorriso soddisfatto.
“Siete voi il signor Mazzola?”
La voce dello sconosciuto lo fece sobbalzare. L’uomo si voltò e si trovò di fronte una ragazzone biondiccio con il volto da bambino macchiato da qualche ciuffo di barba incolta, particolarmente alto e oltremodo magro rispetto alla statura.
“Sì, sono io. E voi, di grazia, chi siete?”
“Avete noleggiato una carrozza per raggiungere Parma chiedendo di partire all’ora di pranzo, io sono il vostro cocchiere.”
“Oh sì, certo, datemi il tempo di finire il pasto e pagare l’oste. Nel frattempo potete caricare il mio bagaglio” rispose Francesco indicando il baule che giaceva ai suoi piedi.
“Molto bene, signore, vi attenderò in strada.”
L’uomo terminò gli ultimi bocconi di carne e raccolse il grasso di maiale dal piatto con un pezzo di pane, lasciò qualche moneta sul tavolo e varcò l’uscio dell’osteria.
Il sole risplendeva a picco su Bologna e la giornata era ideale per affrontare le sei ore di viaggio che lo avrebbero ricondotto nella sua città, sette anni dopo la sua partenza per Roma.
“Prego, accomodatevi” disse il cocchiere aprendo la porta della carrozza.
“Se non vi dispiace, preferirei restare con voi a cassetta per godermi la luce e la compagnia, il viaggio sarà lungo, scambiare quattro chiacchiere lo renderà più lieve a entrambi.”
“Come desiderate, vi prenderò un cuscino, il legno è troppo scomodo per un signore come voi.”
“Signore? Io? Vi sbagliate, sono soltanto un artista e non un nobile come quelli che siete abituato a trasportare. In ogni modo, accetto il cuscino e vi ringrazio per la gentilezza.”
Usciti dai confini della città, il cocchiere prese coraggio e tentò di dar vita a un dialogo con il suo cliente.
“Dunque, siete un artista. E qual è la vostra arte?”
“Prima di raccontarvi di me, ditemi il vostro nome, non ho intenzione di chiamarvi cocchiere fino a destinazione”
“Mi chiamo Luca.”
“Bene, Luca, io sono Francesco Mazzola ma tutti mi chiamano Parmigianino e mi guadagno da vivere dipingendo tele e affrescando chiese, così come gran parte della mia famiglia ha sempre fatto.”
“Allora, anche se non siete un signore, sarete comunque un uomo ricco.”
“Siete di nuovo in errore, amico mio, il dono della parsimonia non mi appartiene, possiedo soltanto il denaro per campare e poco più.”
“Dal vostro soprannome intuisco che Bologna non sia la vostra città.”
“No, non la è, devo i miei natali alla città di Parma e proprio oggi sto tornando a casa dopo tanti anni di lontananza.”
“Avete viaggiato molto nella vostra vita? Siete ancora giovane, se l’apparenza non mi inganna.”
“Dieci anni fa, la guerra tra l’Imperatore e il re di Francia minacciava la mia città e i miei zii mi costrinsero a fuggire a Viadana per proteggermi. L’anno successivo ritornai a casa perché mi venne commissionato l’affresco di San Vitale in una delle cappelle nella maestosa chiesa di San Giovanni Evangelista, la conoscete?”
“Purtroppo no, quando giungeremo a destinazione sarà la prima volta che entrerò dentro le mura di Parma”
“È una splendida città, sono certo che ne rimarrete entusiasta.”
“Non vedo l’ora di vederla, signore. E poi? Vi siete trasferito a Bologna?”
“Ho lavorato a fianco del mastro Antonio Allegri da Correggio per quasi due anni, poi ho deciso di trasferirmi a Roma dopo l’epidemia di peste che ha colpito le mie terre e tolto la vita a mio padre.”
“A Roma? E avete lavorato per il Papa?”
“Ho fatto dono a Clemente VII di una mia opera, un autoritratto entro uno specchio convesso per il quale ha dimostrato grande entusiasmo, ma non ho ricevuto mai nessuna commissione, soltanto qualche Cardinale e il capo delle sue guardie hanno richiesto i miei servigi. Ma ho avuto l’onore di frequentare i seguaci del maestro Raffaello Sanzio e ciò che ho imparato da loro resterà per sempre impresso nella mia vita e nella mia arte. Anche se ora, ad essere sincero, posso dire di aver creato, insieme ad alcuni miei illustri colleghi, uno stile nuovo, tutto nostro.”
“Quindi è da Roma che arrivate?”
“Sono fuggito poco dopo il saccheggio dei Lanzichenecchi, ai quali ho dovuto cedere decine di disegni per avere salva la vita, ormai quasi quattro anni orsono ed è allora che mi sono stabilito all’ombra delle torri degli Asinelli e della Garisenda.”
“Quei maledetti barbari sono passati anche da qui, hanno devastato tutto e dove non sono arrivate le loro spade a portare la morte, è arrivata la peste che loro stessi hanno condotto qui. È stato un periodo terribile. Ditemi, vi è piaciuto vivere nella mia città?”
“Bologna è la seconda città più grande dello Stato Pontificio e mi ha dato la possibilità di conoscere e lavorare per molti personaggi illustri. Pensate che ho addirittura dipinto un ritratto dell’imperatore Carlo V, anche se non è stato lui a richiedermelo…”
“Cosa volete dire?”
“L’ho spiato durante un banchetto pubblico e l’ho immortalato su una tela che gli ho fatto avere qualche giorno più tardi.”
“E gli è piaciuta?”
“Mi ha offerto molto denaro per averla, ne era rimasto entusiasta, ma io non gliel’ho potuta vendere.”
“E perché mai?”
“Perché non ne ero soddisfatto. Penserete che sono uno stupido, vero?”
“Io conduco carrozze, signore, giudicare i miei clienti non rientra nei miei compiti. Per me è già un onore poter ascoltare i vostri racconti.”
“Il Signore vi ha fatto dono di grande intelligenza, Luca.”
“Vi ringrazio. Posso domandarvi ancora una cosa, se non sono troppo indiscreto?”
“Parlate pure, non fatevi remore.”
“Perché ora tornate a Parma? Avete nostalgia della vostra famiglia?”
“Soltanto per lavoro. I rapporti con la mia famiglia, gli zii e i fratelli con i quali sono cresciuto si sono incrinati da tempo. Ho soltanto una gran voglia di rivedere mia sorella Ginevra, l’unica da cui non mi senta tradito.”
“Capisco, mi dispiace.”
“Non dovete dispiacervi, la distanza ti allontana dagli affetti, così è la vita.”
Dopo una breve pausa appena passata la città di Modena per abbeverare i cavalli, il viaggio proseguì senza intoppi e poco prima del tramonto i due viaggiatori avvistarono all’orizzonte il campanile della Cattedrale di Parma.
“Ecco, voltate per di qua, in Borgo delle Asse, è qui che vive la mia famiglia.”
Il cocchiere fermò la carrozza nel luogo indicato da Francesco, lo aiutò a scendere e scaricò il bagaglio.    “Vi ringrazio, posate pure tutto qui, penserò io a portare dentro questo fardello.”
“Siete sicuro di non volere un aiuto?”
“Certo, non vi preoccupate. Ecco, prendete, questo è il vostro compenso.”
“Vi ringrazio, maestro, è stato un onore fare la vostra conoscenza.”
“E per me è stato un grande piacere viaggiare con voi. Se passerete la notte a Parma non dimenticate di visitare San Giovanni e la Cattedrale, la cupola del maestro Allegri vi lascerà senza fiato, nonostante le tante critiche che ha ricevuto.”
“Lo farò con grande piacere, il vostro racconto mi ha molto incuriosito. Ora devo andare, vi auguro buona fortuna, messer Mazzola.”
“Auguro ogni bene anche a voi, Luca, e vi ringrazio per aver avuto la pazienza di ascoltarmi per così tante ore.” I due uomini si strinsero la mano, la carrozza sparì tra i vicoli e lasciò Francesco davanti alla porta della sua vecchia casa.

Il Parmigianino tirò un gran sospiro e pensò che non aveva alcuna voglia di rivedere il resto della famiglia, così sollevò il bagaglio e si incamminò sulle assi di legno che proteggevano i passi dal fango verso strada San Barnaba per raggiungere casa di Ginevra che, per sua fortuna, non viveva più in Borgo delle Asse ma in una strada non lontana dal convento femminile di San Paolo.
Grazie alle numerose lettere speditegli dalla sorella, Francesco non faticò a riconoscere l’abitazione e bussò alla porta di legno, tremando dall’emozione.
Non aspettando visite ed essendo all’oscuro del rientro del fratello, Ginevra si avvicinò alla finestra scostando appena la tenda per vedere chi fosse il visitatore che bussava alla sua porta a sole già tramontato. Appena riconobbe la slanciata ed elegante figura del fratello, corse ad aprire la porta e gli si gettò al collo.
Dopo essersi abbracciati sulla soglia senza nemmeno riuscire a parlare, entrarono in casa e Ginevra apparecchiò subito la tavola.
Preparò un brodo caldo e del maiale arrostito mentre ascoltava il racconto delle tante avventure che Francesco aveva vissuto negli anni trascorsi lontano da Parma.
“E ora che sei tornato cosa farai? Ti stabilirai nella nostra vecchia casa?” chiese Ginevra mentre serviva la cena.
“Ancora non lo so, mi sono fatto accompagnare in Borgo delle Asse ma non ho avuto la forza di entrare, questa notte vorrei passarla qui con te, se non ti sono di troppo disturbo, domani deciderò del mio futuro.”
“Capisco, Francesco, e poi…” Ginevra sospese la frase e abbassò gli occhi.
“E poi?”
“No, nulla…”
“Ginevra, avanti, fra noi non ci sono mai stati segreti, puoi dirmi tutto ciò che vuoi.”
“Un segreto in effetti c’è, fratello mio.”
“E allora voglio saperlo, ti prego.”
“Qualche settimana fa sono andata a far visita alla nostra famiglia e dopo aver pranzato tutti insieme, sono scesa nel laboratorio per vedere su cosa stessero lavorando nostro zio Pierilario e Girolamo.”
“Girolamo? E perché mai dovrebbe lavorare nel nostro laboratorio?”
“Da quando ha sposato nostra cugina Caterina si è trasferito in Borgo delle Asse e ora collabora con nostro zio. Dopo il matrimonio, per sfruttare il nostro cognome legato all’arte da generazioni, si presenta a tutti come Girolamo Bedoli Mazzola.”
“Conoscendo quel viscido personaggio non stento a crederci, ciò che non mi spiego è il motivo per il quale goda di tutta quella stima da parte di nostro zio. Ed è questo il segreto che volevi confessarmi?”
“No, Francesco, ciò che non ti ho ancora raccontato temo sia ben più grave.”
“E allora dimmi, forza, sto fremendo di curiosità.”
“Va bene, ti racconterò tutto, ma non ti farà piacere. Mentre ero nel laboratorio, ho visto dei disegni che mi hanno ricordato subito qualcosa.”
“Sarebbe a dire?”
“Qualcosa che mi avevi raccontato tu a proposito di alcuni progetti che ti sono stati sottratti mentre alloggiavi a Bologna.”
“Mi stai dicendo che i miei disegni sono a casa di nostro zio?”
“Sì, ne sono sicura, il tocco della tua mano lo riconoscerei fra mille.”
“Mio Dio, ma perché? Perché derubarmi? Se avessero voluto vedere il mio lavoro gliel’avrei mostrato!”
“Vicino ai tuoi disegni ne ho visti alcuni quasi identici, credo che Girolamo stia tentando di copiarli per poi venderli come suoi.”
“E com’è possibile che nostro zio permetta tutto questo? Non può non esserne al corrente.”
“Molte cose sono cambiate da quando sei partito e so che Pierilario non ha gradito il fatto che tu l’abbia abbandonato una volta raggiunta la maggiore età. Da allora ho sentito soltanto parole di disprezzo nei tuoi confronti e quella serpe del Bedoli ha approfittato della situazione per alimentare la fiamma della discordia.”
Francesco non trovò la forza di rispondere e Ginevra riprese a parlare.
“Sono invidiosi del tuo talento, della tua arte sopraffina e anche del fatto che gli affreschi della Steccata siano stati affidati a te e non a loro.”
“Ciò che mi stai raccontando è di una gravità inaudita e mi riempie di tristezza ma, al contempo, mi convince ancor di più a trovarmi una nuovo luogo dove vivere. Non voglio avere più nulla a che fare con quella gente.”
“Lo capisco, Francesco, ma stai attento. Negli ultimi anni, dopo che il maestro da Correggio se n’è andato per le critiche ricevute dai suoi freschi in Cattedrale, il laboratorio dei Mazzola è uno dei più in vista di Parma e perfino il cavalier Scipione Dalla Rosa, nonostante abbia commissionato a te i lavori nella seconda chiesa della città, è molto legato a nostro zio. La nostra famiglia fa parte della fazione ghibellina da sempre, proprio come quella del cavaliere, e metterti contro di loro potrebbe essere molto rischioso.”
“E allora perché non ha affidato a loro il lavoro in Steccata?”
“Perché soltanto la tua mano potrà dare il lustro che merita alla nostra nuova splendida basilica. Ma se non sarai dalla loro parte, il cavaliere potrebbe revocarti la commissione e sono certa che il Bedoli e lo zio faranno di tutto perché questo accada.”
I due fratelli rimasero in silenzio per qualche minuto fino a quando Francesco non tirò un lungo sospiro e riprese la parola.
“Dunque, è deciso, domattina andrò dal mio caro amico Damiano De Pietà, l’architetto, e gli chiederò di trovarmi un nuovo alloggio. Ora andiamo a letto, ho bisogno di riposare, oggi è stata una giornata molto faticosa.”

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