Parmigianino – Gli ultimi anni di un giovane genio – Capitolo II

Il progetto , l’inizio dei lavori e i primi problemi

di Massimiliano Renaud

 

 Il 10 maggio del 1531, con rogito redatto dal notaio Benedetto del Bono, il Parmigianino accettò ufficialmente l’incarico per la decorazione del sottarco del presbiterio e dell’abside di Santa Maria della Steccata. Il lavoro sarebbe dovuto terminare entro il giorno 10 del mese di novembre 1532 e il compenso stabilito fu di quattrocento scudi d’oro, dei quali la metà gli vennero corrisposti come anticipo e il resto gli sarebbe stato pagato durante lo svolgimento dei lavori fino al loro completamento.
Prima di apporre la firma sul documento, l’artista, pur rendendosi conto che non sarebbe mai stato possibile realizzare un’opera del genere in soli diciotto mesi, non chiese proroghe alle scadenze ma pretese che venisse apposta sul contratto un’unica clausola: avere la totale libertà nella scelta delle rappresentazioni.
Non avendo i fabbricieri alcunché da obiettare alla richiesta di Francesco, l’accordo venne siglato in meno di mezz’ora.

Nella sua nuova casa nei pressi della Cattedrale, il Parmigianino si gettò sui disegni preparatori degli affreschi e per giorni interi nessuno lo incontrò, fatta eccezione per Ginevra che almeno una volta al giorno portava al fratello qualcosa da mangiare.
Nonostante la richiesta dei fabbricieri di iniziare i lavori dalla decorazione del catino, Francesco si dedicò testardamente e portò a termine i progetti dell’arco del presbiterio, che avrebbe introdotto alla parte più sacra dell’intero tempio: l’incoronazione della Vergine al di sopra dell’altare maggiore.
I freschi del sottarco sarebbero stati impreziositi da quattordici rosoni di rame ricoperti d’oro, emergenti da lacunari quadrati su uno sfondo rosso fuoco e circondati da conchiglie, frutti, fiori e altre meraviglie del creato.
Tra gli elementi naturali, avrebbe rappresentato lo stemma del principale benefattore del santuario, Bartolomeo Montini Dalla Rosa, il quale, prima che morte lo cogliesse, aveva donato mille scudi d’oro per la decorazione del tempio.
Alla base del sottarco avrebbero trovato posto le vergini sagge e le vergini stolte rappresentanti le virtù intellettuali e spirituali, impegnate nel leggiadro atto di passarsi la lanterna che rappresentava la luce della fede.
I margini dell’arco, infine, sarebbero stati decorati in oro su uno sfondo azzurro e da quattro monocromi che avrebbero rappresentato Mosè nell’atto di scagliare le tavole dei comandamenti, Aronne, fratello di Mosè, e le figure di Adamo ed Eva nell’atto di commettere il peccato originale.

Ultimata la preparazione delle bozze, il Parmigianino prese con sé i disegni e si recò nella meravigliosa chiesa dalla pianta a croce greca con braccia che si concludevano in absidi semicircolari, forma ideata dal maestro Leonardo da Vinci e resa reale da architetti di indiscussa bravura quali gli Zaccagni padre e figlio, e Gianfrancesco Ferrari D’Agrate, che ne ultimò la parte superiore fino alla grande cupola.
Rapito dalla bellezza di quel luogo ancora grigio e spoglio, provò ad immaginare il suo progetto impresso dove ora non si scorgeva che una striscia di crudo muro e ne fu molto soddisfatto.
Sfumata l’immagine prodotta dalla sua fervida fantasia, si incamminò verso strada Gozzadina dove si trovava il sontuoso palazzo dei Dalla Rosa, a pochi metri dal Battistero dell’Antelami e dalla maestosa piazza della Cattedrale, cuore spirituale della città di Parma.
Attraversato il cortile interno lastricato di ciottoli di fiume e circondato da vasi fioriti, salì la scalinata all’angolo destro del porticato e giunto all’apice della scala un servitore lo accompagnò attraverso alcuni magnifici ambienti riccamente arredati, per poi raggiungere una massiccia porta in legno finemente decorata.
Il cavaliere lo attendeva nel suo studio e appena Francesco vi entrò fu felice nello scorgere, appeso a una parete, un ritratto che le sue stesse mani avevano dipinto prima della partenza per Roma.
“Buongiorno, figliolo, accomodati pure qui di fronte a me, sono impaziente di vedere tradotte su carta le tue idee.”
“Vi ringrazio per la fiducia che riponete in me e nella mia arte, signore. Ecco i miei disegni, spero siano di vostro gradimento”, disse il maestro stendendo con cura i fogli davanti allo sguardo incuriosito del cavaliere e descrivendo il progetto in ogni suo dettaglio.
Dopo aver ascoltato l’artista e aver osservato in silenzio i disegni per qualche minuto, un sorriso si aprì sul volto di Scipione Dalla Rosa che allungò una mano in direzione di quella del pittore e la strinse con forza.
“Non ho mai dubitato del tuo talento, Francesco caro, ma questa volta credo tu ti sia superato. Questo è un progetto degno della più maestosa delle cattedrali.”
“Vi ringrazio, sono molto felice di non aver tradito le vostre aspettative.”
“Come ti ho detto, le hai di gran lunga superate, adesso non ti resta che metterti al lavoro, non vedo l’ora di vedere realizzata la tua opera.”
Incassata l’approvazione del suo committente, nei mesi successivi il Parmigianino si concentrò profondamente sul lavoro ma numerosi problemi provocarono continui e preoccupanti rallentamenti.
Prima di iniziare le pitture, i rosoni avrebbero dovuto essere collocati nei lacunari ma l’oro per ricoprirli tardava ad arrivare e il lavoro restava inesorabilmente fermo, con grande disperazione del pittore che ogni mattina si recava al cantiere ad attendere le forniture e ad osservare l’arcone ancora spoglio di pitture.
Dopo qualche mese in cui i lavori non vennero nemmeno cominciati, Parmigianino si svegliava ogni giorno più depresso e di pessimo umore e ad aggravare ulteriormente la condizione del suo stato d’animo, una mattina fu destato da quattro violenti colpi alla porta di casa che annunciavano una brutta sorpresa.
Francesco si alzò di scatto rovesciando il catino dell’acqua vicino al letto, si avvicinò all’uscio quasi barcollando e lo aprì quanto bastava per vedere chi fosse a cercarlo con tanta irruenza.
“Chi siete, per venire a svegliarmi a quest’ora?”
“Siete voi il maestro Francesco Mazzola?”
“In persona. Chi desidera saperlo, di grazia?”
“Vengo in nome dei fabbricieri della chiesa di Santa Maria della Steccata per convocarvi all’incontro che si dovrà tenere questa mattina, fra non più di due ore, senza possibilità di rifiuto da parte vostra.”
“Dal momento che sono impossibilitato a lavorare a causa della loro negligenza, sarò ben felice di venire a colloquio con i miei committenti. Riferite che fra un’ora sarò a loro disposizione.”
Il messo, soddisfatto della risposta, si chiuse la porta alle spalle e si allontanò a cavallo mentre Francesco, ormai esasperato da tutti i problemi che era costretto ad affrontare, si lasciò cadere su una sedia e rimase per almeno mezz’ora con i gomiti sulle ginocchia e la testa stretta fra le mani.
Esattamente un’ora più tardi, il Parmigianino bussò alla porta della sala in cui si riuniva il consiglio della Confraternita della Steccata e dopo aver ottenuto il permesso di entrare si presentò al cospetto dei suoi committenti.
Girolamo Piazza, sindaco e procuratore della confraternita, prese la parola e si rivolse con tono brusco all’artista.
“Maestro Mazzola, visitando il cantiere della Steccata non ho potuto non notare che il lavoro procede molto a rilento, anzi, si potrebbe affermare che non procede affatto” disse senza alcun giro di parole.
Così palesemente incolpato, il Parmigianino non esitò a rispondere con tono quasi rabbioso.
“Signor procuratore, l’accusa che mi rivolgete è tanto ingiusta quanto infondata. I freschi non procedono, è innegabile, ma la colpa non è certo del sottoscritto.  È il ritardo con il quale la confraternita che rappresentate mi fornisce i fogli d’oro a immobilizzare il cantiere.  Dunque, signor procuratore, respingo ogni accusa e vi sollecito ad effettuare con solerzia le forniture in modo da permettermi di terminare il lavoro nei tempi pattuiti.”
“Non potete proseguire con il resto dell’opera in attesa dell’arrivo dei fogli d’oro? Non potreste, ad esempio, iniziare finalmente il fresco del catino come vi avevamo richiesto alla firma del contratto?”
“Il contratto prevede anche che la mia opinione sullo svolgimento dei lavori sia insindacabile, dunque, se io ritengo che vada decorato prima il sottarco si farà come dico io.”
Francesco riprese fiato e ansimò per un attimo, quasi stupito della sua fermezza ai limiti dell’irruenza. Poi riprese a parlare.
“E sappiate che la mia non è una presa di posizione ma è semplice prudenza. I fogli, infatti, vanno collocati nei lacunari prima di iniziare i freschi proprio per evitare di danneggiarli. Dunque no, signor procuratore, non posso proseguire i lavori fino a quando voi non avrete adempiuto ai vostri doveri.”
Senza nemmeno attendere la replica del Piazza, Francesco si voltò rapidamente verso l’uscita del salone e si avviò con passo nervoso verso il palazzo Dalla Rosa per incontrare il cavalier Scipione.

Oltrepassato il massiccio portone salì la grande scalinata e si presentò con il fiato grosso al cospetto del cavaliere, senza nemmeno farsi annunciare.
“Maestro Mazzola, che piacere rivederti, qual è il motivo di questa inaspettata visita?”
“Cavaliere, sono qui per difendermi dalle accuse che i fabbricieri mi stanno rivolgendo. Quale membro della Confraternita della Steccata, nonché nipote del benefattore che ne ha commissionato le decorazioni, sono certo che ne sarete al corrente.”
“Sì, so che ci sono state delle lamentele e me ne dispiaccio.”
“Lamentele e accuse infondate, non sono certo io a non voler continuare il mio lavoro, è la mancanza dei materiali promessi dai fabbricieri stessi a costringermi all’inoperosità. E per di più, tutti questi ritardi hanno fatto sì che non mi venissero corrisposti gli altri anticipi pattuiti sul mio compenso mettendomi in grave difficoltà. Oltre al mio sostentamento, ho un affitto da pagare e altre spese da sostenere per il laboratorio.”
“Parlerò con loro e cercherò di calmarli ma, se me lo permetti, vorrei darti un consiglio” disse il Dalla Rosa con tono fin troppo paternalistico, tanto da sembrare falso.
“Siete il mio committente, non dovete certo chiedere il permesso per darmi un suggerimento.”
“Vedi Francesco, ritengo che per sistemare le cose dovresti far ritorno alla tua casa in Borgo delle Asse, dalla tua famiglia. Sono sicuro che questo gioverebbe alla tua posizione.”
“Tornare nella mia casa natale? E perché mai? Come potrebbe aiutarmi a risolvere i problemi?”
“Devi sapere che tuo zio Pier Ilario e tuo cognato Girolamo contavano molto sul tuo aiuto nella bottega e si sono tanto dispiaciuti del tuo allontanamento.”
“Dispiaciuti? Non avete nemmeno idea di ciò che mi hanno fatto mentre mi trovavo a Bologna, ma dato che sono pur sempre miei parenti non voglio parlarne male in loro assenza. Cortesia che, per altro, loro non mi hanno affatto riservato.”
“In tutte le famiglie ci sono degli screzi ma tutto si può risolvere parlando. E poi, se tornassi a casa, non dovresti più sostenere il costo dell’affitto, non è vero?”
“Senza dubbio, signore, ma ciò non basterà a farmi ritornare sui miei passi. Ho preso questa decisione quando sono tornato a Parma e sono tutt’ora convinto che non potrei mai più condividere la vita con quelle persone.”
Scipione Dalla Rosa fece una lunga pausa e deglutì profondamente.
“Me lo avevano detto che sei un tipo testardo e io non posso certo obbligarti a prendere una tale decisione, tuttavia, ti chiedo almeno di pensarci. In ogni modo, voglio comunque aiutarti e conosco un buon modo per farti avere del denaro.”
“Vi ascolto con grande interesse.”
“Il Cardinale Ippolito de’ Medici, che già avete avuto modo di immortalare su tela anni fa, vorrebbe commissionarvi un nuovo ritratto, questa volta di sua sorella, la principessa Giulia Gonzaga.”
Udendo quel nome, Parmigianino ebbe un sussulto che tentò di nascondere.
Giulia era la sorella di quella Paola Gonzaga, moglie di Vespasiano Colonna, della quale si era invaghito nel periodo in cui si trovava alla Rocca di Fontanellato e per la quale aveva affrescato la stufetta privata narrando la storia di Diana e Atteone. Quell’opera, su richiesta dei committenti, era rimasta segreta perché conteneva alcuni simboli legati alla passione per l’alchimia di Gian Galeazzo Sanvitale, passione che il nobile non voleva venisse portata alla luce del sole.
Ripresosi dal momentaneo sgomento, Francesco cercò di rispondere senza tradire emozioni.
“Cavaliere, la vostra proposta mi lusinga, ma se mi recassi a Bologna dovrei abbandonare il cantiere e penso che questo non sia il momento più opportuno.”
“Considerando la situazione in cui ti trovi, non credo tu abbia scelta. E poi, avresti davvero il coraggio di rifiutare l’offerta di un Cardinale? Sai bene che un affronto del genere potrebbe distruggere la tua carriera.”
Francesco sapeva di non poter rifilare un secondo rifiuto al Dalla Rosa che tutto avrebbe permesso fuorché inimicarsi il cardinal De’ Medici.
“Non mi permetterei mai un tale affronto, cavaliere, partirò fra pochi giorni, purché mi promettiate che in mia assenza i freschi della Steccata non saranno affidati a nessun altro, come successe per quelli della Cattedrale.”
“Allora eri minorenne e sotto la tutela dei tuoi zii, questa volta il contratto porta la tua firma e fino a quando sarai sotto la mia protezione non correrai alcun pericolo.”
Leggendo una specie di minaccia nelle ultime parole di Scipione Dalla Rosa, Francesco annui senza rispondere e lasciò l’abitazione del cavaliere.

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