Parmigianino – Gli ultimi anni di un giovane genio – Capitolo III

Un nuovo viaggio a bologna e i nuovi amici

di Massimiliano Renaud

Nonostante i dubbi nell’abbandonare il cantiere, Parmigianino, costretto ad accettare la proposta del Dalla Rosa, pochi giorni più tardi si mise in viaggio alla volta di Bologna.
Tornato dall’amico sellaio che per lunghi mesi lo aveva ospitato in passato, Francesco ricevette una lettera di Giulia che lo invitava a recarsi quanto prima a Palazzo Legnani per iniziare il suo ritratto.
Dopo il primo incontro, durante il quale venne pianificato il quadro della nobildonna, Francesco passò alcuni giorni a prepararne le bozze e, una volta terminate, le sottopose ai suoi committenti.
“Maestro, nonostante conosca assai bene le vostre immense virtù, siete riuscito a stupirmi. Sono certa che il mio ritratto sarà meraviglioso.”
“Sono contento che vi piacciano le mie idee, principessa. Se non vi sembro troppo sfacciato, vorrei anche proporvi un accessorio che vi ho immaginato indosso per ritrarvi.”
“Mi rimetto completamente al vostro talento, Francesco caro, ditemi pure cosa avete in mente.”
“Avrei pensato a un copricapo orientale, tipico delle nobildonne turche e di gran moda nella città di Venezia, impreziosito al centro da un pegaso luccicante, metafora di poesia o amore. Tra le mani, invece, vorrei reggeste un pennacchio per donare leggerezza alla vostra figura.”
Giulia rimase in silenzio a riflettere se fosse il caso di farsi ritrarre con un copricapo stravagante e una piuma fra le dita, ma la sua fiducia in Francesco era tale da sciogliere immediatamente ogni dubbio.
“E sia, pensate voi a procurarvi turbante e pennacchio e venite qui domani stesso, sono impaziente di veder conclusa la vostra opera.”

La mattina successiva il Parmigianino si presentò al cospetto di Giulia Gonzaga e iniziò a tracciare sulla tela il ritratto che, dopo qualche giorno di lavoro nella dimora dell’amico sellaio temporaneamente adibita a studio, avrebbe portato a termine.
Quando ebbe completato l’opera, Francesco si recò alla residenza del Cardinale per consegnarla e ricevere il compenso pattuito, ma la gioia data dalla bellezza del dipinto venne turbata da una notizia appena giunta alla principessa Giulia.
La nobildonna, abbigliata con una gamurra con larghi squarci nelle maniche dai quali uscivano gli sbuffi della camicetta bianca, lo accolse in lacrime mentre il cardinale Ippolito tentava invano di consolarla.
“Mia signora, cosa vi è successo?”
La dama alzò gli occhi umidi verso l’artista, ma quando tentò di rispondergli la voce cedette in una sequenza di singhiozzi.
“Abbiamo appena ricevuto una terribile notizia, Francesco.” Intervenne il cardinale.
“Se non sono inopportuno, signore, posso chiedervi di che genere di notizia si tratta?”
“Il duca di Sabbioneta Luigi Gonzaga, fratello di Giulia, è morto qualche giorno fa, vittima di un colpo di archibugio.”
“Mio Dio, ma è terribile”
“Giulia le era molto affezionata, è una grande perdita per lei e per noi tutti.”
“Non posso nemmeno immaginare il suo dolore, e proprio per questo la mia presenza qui in questo momento è oltremodo inopportuna, vi lascio soli e tornerò nei prossimi giorni, un quadro non è nulla davanti alla vostra perdita.”
“No, fermatevi” sussurrò Giulia controllando per un attimo il pianto
“in questo momento tragico, lasciate almeno che mi faccia consolare dalla bellezza della vostra arte.”
Parmigianino tornò sui suoi passi e si mise davanti alla dama.
Con un gesto al quale era evidentemente abituato, tolse il drappo di tela dal dipinto che, fino a quel momento, aveva cercato invano di celare sotto al braccio sinistro.
Le labbra di Giulia persero l’incurvatura disperata che avevano assunto nell’ultima ora e si aprirono fino a sorridere, comandate dallo stupore.
“Maestro Mazzola, questo è il miglior ritratto che io abbia mai potuto vedere, avete colto particolari del mio volto che nemmeno io stessa avevo mai notato. Vi confesso, sentendomi quasi in colpa, di aver dimenticato per qualche istante la morte di mio fratello.”
“Siete troppo gentile, mia signora, non sono certo di meritare tutti questi complimenti.”
“Sapete qual è un vostro grande difetto?”
“Quale dei tanti, mia signora?”
“Voi sottostimate il vostro talento, Francesco. Voi siete un genio e credo che lo sappiate, ma non volete ammetterlo nemmeno a voi stesso.”
Il Parmigianino arrossì abbassando la testa, senza rispondere.
“Il vostro silenzio mi fa credere di aver ragione, maestro. Ora, se volete scusarmi, vorrei ritirarmi nella mia stanza, come avete potuto vedere è una giornata molto difficile per me. Farò subito appendere il vostro quadro per avere un po’ di consolazione dal vostro sublime tocco.”
Francesco non fece nemmeno in tempo a rispondere e si limitò ad annuire con un cenno della testa.
Quando Giulia fu uscita dalla stanza, Sua Eminenza il Cardinal Ippolito gli porse una scarsella contenente i ducati pattuiti per il ritratto e si congedò dall’artista per seguire i passi della donna.

Superata la tristezza delle ultime ore trascorse a Bologna, il Parmigianino trovò di nuovo il buon umore perché con il denaro ricevuto avrebbe potuto cambiare abitazione e trasferirsi nei pressi di Sant’Alessandro, a pochi passi dalla Steccata e più distante da borgo delle Asse.
Avendo paura di venire di nuovo derubato o spiato dai suoi familiari, la maggior distanza dalla loro abitazione gli avrebbe permesso di vivere più tranquillo e di non rischiare di imbattersi in Girolamo e Pierilario ogni volta che fosse uscito di casa.
Ma nonostante il denaro ricevuto e il trasloco nella nuova casa, la sua vita e la situazione al cantiere della chiesa non accennavano a migliorare: l’oro mancava così come i doratori incaricati di fonderlo, il freddo impediva ai pochi freschi di asciugare come avrebbero dovuto e, a complicare ulteriormente la situazione, i ponteggi spesso sparivano dall’interno della chiesa o venivano spostati in modo da non poter essere utilizzati. Di fronte a tutti quei problemi, Francesco si intristiva e trascorreva notti insonni a chiedersi perché qualcuno stesse tentando di boicottare il suo lavoro, e mentre pensava, disegnava senza sosta decine e decine di schizzi che sarebbero per sempre rimasti tali.
Durante quel lungo e sconfortante periodo, il cavaliere Dalla Rosa era spesso irraggiungibile e la frustrazione di Francesco aumentava di pari passo con il trascorrere inesorabile dei mesi. E a nulla valsero le continue proteste indirizzate ai fabbricieri che, nonostante l’innocenza del Parmigianino fosse più che evidente, seguitavano a indicare la sua pigrizia come unica causa del ritardo nei lavori.

Giunto il mese di novembre dell’anno 1532, scadenza per la consegna dei lavori, gli affreschi erano appena abbozzati e Francesco dovette affrontare ancora una volta l’ira dei suoi committenti.
Trascinato davanti al consiglio della Confraternita della Steccata e accusato di inadempienza, il Parmigianino trovò un inatteso sostegno da parte del cavalier Francesco Baiardi, capostipite della famiglia più ricca della città, e dell’amico architetto De Pietà, che si impegnarono a pagare di propria tasca un’eventuale insolvenza del pittore. Grazie a questa garanzia, Francesco ottenne ulteriori cinquanta ducati d’oro di anticipo e poté proseguire i lavori per un altro anno.

 Anche l’anno successivo, però, fu non poco travagliato e i ritardi nelle consegne dell’oro, unite alla continua misteriosa sparizione dei ponteggi, non fecero altro che aggravare la situazione. In quel periodo, Francesco chiese numerose udienze al suo protettore ma nell’unico incontro che riuscì ad avere non risolse nessuno dei suoi tanti problemi.
Un pomeriggio di fine estate, l’architetto De Pietà raggiunse l’artista indaffarato nel cantiere e chiese di potergli parlare.
“Ora non ho tempo, amico mio, se non approfitto dei pochi giorni in cui non subisco le angherie di chissà chi, non riuscirò mai ad ultimare in tempo il sott’arco.” rispose il Parmigianino senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
“È proprio di questo che voglio parlarti e faresti bene ad ascoltarmi, quelle che ti porto non sono buone nuove.”
Il maestro posò il pennello e si levò il camice imbrattato di colori.
“Allora non esitare, Damiano, dimmi quali altre pene dovrò sopportare a causa di questa benedetta chiesa.”
“Le lamentele dei fabbricieri sono riprese con nuovo vigore ed io e il cavalier Baiardi non abbiamo più scuse da portare.”
“Scuse? Quali scuse? Sapete benissimo entrambi a cosa sono dovuti i miei ritardi e sapete anche che non mi si può imputare nessuna colpa!”
“Hai segnalato al Dalla Rosa che i tuoi problemi non sono cessati?”
“Ho dimenticato il numero di volte in cui gli ho chiesto udienza ma mi è stato sempre riferito che si trovava a Roma. E nell’unica occasione in cui ho avuto modo di parlargli sapete cosa mi ha risposto?”
“No, anche se posso immaginarlo.”
“Mi ha detto di acquistare l’oro necessario a proseguire i lavori assicurandomi che sarebbe stata sua cura farmi restituire dai fabbricieri il denaro che dovrò anticipare. Inoltre mi ha intimato, ancora una volta, di far ritorno alla casa dei miei zii, cosa che, tu lo sai bene, non farò mai.”
“Sì, purtroppo sono ben conscio di questa tua decisione irrevocabile ed è per questo che io e il cavalier Baiardi abbiamo pensato di fornirti un nuovo aiuto. Anche se il lavoro dovesse continuare senza intoppi fino al prossimo autunno, da solo non riusciresti mai a portare a termine la tua opera così abbiamo pensato di mandarti tre aiutanti che vivranno con te, e che pagherai un prezzo molto più che ragionevole.”
Il Parmigianino sbarrò gli occhi per la sorpresa.
“Sì, forse avete ragione, il tempo scorre come un fiume in piena e non sono stati piazzati nemmeno la metà dei rosoni che da mesi dovrebbero pendere dall’arco. Accetto di buon grado il vostro aiuto ma soltanto se mi svelerete il motivo dell’interesse che Francesco Baiardi nutre nei miei confronti. Non è forse della fazione guelfa, opposta a quella ghibellina del Dalla Rosa? Fornendomi il suo aiuto non rischia di farsi un grande nemico in città?”
“Il cavalier Baiardi ha profonda stima di te e della tua arte e poi, non lo nego, avere il più grande artista dalla città schierato dalla propria parte non è cosa da poco, di questi tempi.”
“Cosa vuoi dire?”
“Lascia perdere la politica, Francesco, ci sono cose più grandi di noi che non possiamo controllare. E questi non devono essere i pensieri di un artista che, come tale, deve dedicare il cuore e la mente solo all’arte. Accetta il nostro aiuto e onora i tuoi impegni, a tutto il resto penseremo noi.”
Il De Pietà, senza concedere repliche, scese dalla botola del ponteggio e uscì dalla chiesa su strada San Barnaba facendo un cenno di saluto con la mano.

Dopo alcuni giorni trascorsi immerso nel lavoro, Francesco accettò l’invito a cena della sorella Ginevra e le raccontò degli avvenimenti degli ultimi tempi.
“Fratello mio, io non capisco molto di politica ma di una cosa sono certa, le persone di cui puoi fidarti si possono contare sulle dita di una mano. Non so chi sia a boicottare da anni i tuoi lavori ma ho paura che tu finisca al centro di una contesa fra casati, e questo sarebbe molto pericoloso per te.”
“Lo so bene, Ginevra, e ti prometto che mi guarderò le spalle. Ma ora il vero problema è che non ho denaro a sufficienza per comprarmi l’oro dei rosoni come mi ha detto di fare il Dalla Rosa e se gli affreschi non progrediranno, sarò attaccato sia dal mio protettore che dal mio nuovo presunto amico cavalier Baiardi, che ha garantito con il suo denaro il mio successo.”
Ginevra guardò lo sguardo disperato del fratello, si alzo di scatto dalla sedia e sparì nella sua camera da letto. Dopo qualche istante ritornò verso la tavola al centro della sala da pranzo tenendo fra le mani un quadro ricoperto da una stoffa candida.
“E quello cos’è?” chiese Francesco osservando la tela coperta dal drappo.
“È il quadro che facesti per me, quello dove immortalasti la Madonna, Giovannino e San Zaccaria.”
“Quello in cui la Vergine Maria possiede il tuo volto?”
“Sì.”
“E perché me lo mostri proprio ora?”
“Perché voglio che tu lo venda e ti rimetta al lavoro.”
“Venderlo? Non potrei mai farlo, Ginevra, quel dipinto è troppo importante per te, così come lo è per me.”
“Le uniche cose che contano sono la tua vita e i freschi della Steccata e se questo quadro potrà salvare l’una e l’altra cosa, avrà dimostrato davvero il suo valore. Prendilo, non accetterò un rifiuto.”
Parmigianino esitò prima di allungare una mano verso la sorella, poi impugnò il bordo della tela e fissò Ginevra negli occhi.
“Ti prometto che appena avrò assolto i miei doveri te ne dipingerò uno cento volte più bello. Grazie, sorella mia, senza di te non so come potrei continuare a vivere.”
I due fratelli si abbracciarono e dopo che Francesco ebbe lasciato la casa di Ginevra scoppiarono entrambi in lacrime.

La mattina successiva Parmigianino inviò un messo a casa del conte Gozzadini di Bologna, che tempo addietro gli aveva commissionato una tela, con l’ordine di cedere il dipinto in cambio di cinquanta ducati. Al rientro, il messo consegnò al maestro meno della metà del denaro richiesto riferendo che era tutto ciò che il conte aveva voluto sborsare per il quadro.
Francesco, disperato, ordinò comunque l’oro necessario alla decorazione dei rosoni che alla scadenza della proroga non era nemmeno arrivato al cantiere.
Ancora una volta Francesco Baiardi prese le sue difese e grazie alla sua influente posizione all’interno della Confraternita della Steccata, riuscì ad ottenere un nuovo differimento senza bisogno di prestare ulteriori garanzie.

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