L’eredità

di Massimiliano Renaud

Patrick Van der Meer
Harverstraat 1
Utrecht – Netherlands

C’erano il suo nome e il suo indirizzo nella busta sigillata che qualcuno aveva lasciato scivolare sotto la porta di casa. La aprì con un gesto automatico aspettandosi la consueta lettera di minaccia che lo intimava a saldare gli innumerevoli debiti di gioco ma, questa volta, la morte di cui si parlava in quelle poche righe non era la sua, ma quella di suo padre.
Il primo dei due fogli all’interno della busta, infatti, annunciava il trapasso di Herald Van der Meer e l’invio del testamento a favore dell’unico erede ancora in vita.
Un colpo di fortuna, fu la prima cosa che pensò Patrick prima di chiedersi se la notizia non avrebbe dovuto gettarlo nella disperazione.
No, si disse, nessuna disperazione, mi hai cacciato di casa, mi hai reso la vita impossibile, hai contrastato ogni mia scelta e adesso sono ben contento di prendermi ciò che mi spetta.
Si sedette e iniziò a leggere il secondo foglio che avrebbe dovuto contenere le ultime volontà del padre.
Dopo le motivazioni del decesso, un male incurabile del quale Patrick si era sempre disinteressato, la missiva sembrava invece terminare con qualche parola di commiato al mondo e di ringraziamento a chi gli era stato vicino durante la malattia, senza nessun riferimento a eventuali lasciti destinati all’erede. Patrick, non trovando denaro, immobili o altri beni a lui designati, mandò la tazza di caffè che stringeva fra le dita a frantumarsi contro la parete.
“Niente, vecchio bastardo, niente di niente! Hai lasciato tutto a quella cagna, vero?”
Strinse il foglio in un pugno, lo gettò a terra e crollò insieme a lui sul pavimento divorato dai tarli.
“E qui? Cosa c’è scritto?”
Guardando il cartoccio di fianco alla sua mano, sul retro della lettera trovò un’ultima frase prima della firma stentata del padre il quale, evidentemente, doveva aver dettato il testo a qualcuno.

Patrick, figlio mio, so che in questo momento starai maledicendo la mia anima ma dopo che a causa tua ho perso quasi tutto, compresa la mia adorata moglie, non potevi di certo aspettarti il mio perdono. Nella tua vita scellerata hai sempre trovato qualcuno che soffrisse al posto tuo per rimediare alle conseguenze dei tuoi vizi, hai sperperato gran parte del patrimonio di famiglia senza dimostrare un briciolo di gratitudine, hai distrutto la nostra vita senza chiedere nemmeno scusa.
Eppure io, nonostante tutto, ho deciso di riservarti qualcosa ma, questa volta, te la dovrai conquistare, non ci sarà nessuno a fare il lavoro per te.
Poco dopo la mia morte, secondo un accordo editoriale che ho siglato qualche mese fa, verrà pubblicato un mio libercolo di poche decine di pagine che contiene il cammino da intraprendere per raggiungere un piccolo tesoro. Il racconto verrà consegnato a una nota libreria di Amsterdam sotto forma di “copia campione” e i proprietari non ne saranno al corrente. Si tratta della Pieter Meijer Warnars Library…

Patrick non terminò nemmeno di leggere l’indirizzo, tutti conoscevano quella libreria, era lì da tre secoli.
La tua adorata moglie, pensò prima di mettersi in viaggio verso Amsterdam, chissà se la chiamavi così mentre ti trastullavi con quella puttana della tua segretaria…

Era lunedì mattina quando Patrick Van der Meer entrò con la sua tuba, la giacca blu e un bastone da passeggio alla Pieter Meijer Warnars Library, dove il proprietario e un commesso erano indaffarati a schedare alcuni volumi accatastati al centro della stanza.
Prima di parlare si guardò intorno, stregato dalla maestosità degli scaffali che traboccavano conoscenza, dalle finiture d’oro di centinaia di magnifiche pubblicazioni che riempivano le pareti, dal silenzio quasi religioso e dal profumo intenso della carta che si respirava nell’aria.
“Buongiorno, signor Meijer.”
“Buongiorno a voi, come posso esservi utile?”
“Sto cercando un libro, modesto per dimensioni, a quanto mi hanno detto, ma molto prezioso per me e la mia famiglia.”
“Sapete dirmi il titolo, per caso?”
“Purtroppo no, ma conosco il nome dell’autore: Herald Van der Meer.”
“Mi faccia controllare, attenda un istante.”
Dopo una rapida consultazione dello schedario, il libraio tornò a fissare il suo cliente con aria sconfortata.
“Purtroppo, signor…”
“Patrick, Patrick Van der Meer.”
“Oh, dunque, parente dell’autore, presumo.”
“Sono il figlio.”
“Mi dispiace, signor Van der Meer, ma non ho nulla scritto da suo padre. Posso provare a cercarlo sul mercato, se lo desidera, se si trova in commercio sono sicuro che sarò in grado di recuperarlo.”
“Vi ringrazio per la premura ma temo che i suoi sforzi risulterebbero tanto generosi quanto vani. Ditemi, piuttosto, in quale giorno ricevete le consegne?”
“Di solito, al martedì.”
“Ciò significa che domani avrete nuovi arrivi.”
“Certamente, ma dubito troverete quello che state cercando, non avendo effettuato alcun ordine dovreste avere un gran colpo di fortuna.”
“Sono un disperato ottimista, ripasserò comunque. Un’ultima cosa, se posso rubarvi ancora un attimo.”
“Siete un cliente, assecondare le vostre richieste è il mio lavoro.”
“Vi capita mai di ricevere alcune copie in, diciamo, valutazione?”
“È molto raro ma, in effetti, a volte ci vengono inviati manoscritti sui quali esprimere il nostro parere. Mi permetto però di insistere sul fatto che, in ogni caso, dovreste essere molto fortunato.”
“Tentare non costa nulla, giusto? Allora, a domani, signor Meijer.”
“Sarà un piacere rivedervi, signor Van der Meer…”

Mentre quello strano personaggio si rigettava fra le strade della città, una donna, che fino a quel momento era rimasta china su uno scrittoio nella stanza accanto, scivolò al centro della libreria e seguì con lo sguardo il tragitto dello sconosciuto prima di avvicinarsi al banco.
“Arrivano veramente copie di libri in valutazione o lo avete detto soltanto per levarvi un impiccio?”
“Come dite, signora Van de Kamp?”
“Vorrei soltanto sapere se ciò che avete appena detto corrisponde a verità, o se volevate soltanto togliervi dai piedi quel viscido essere.”
“Non mi ha dato questa impressione, signora, e in ogni modo, sì, ho detto la verità, non avrei avuto ragioni per mentire. Ma, se mi permette, perché me lo chiedete?”
“Non credo di potervelo dire, signor Meijer.”
“Suvvia, signora Annabel, venite alla mia libreria quasi ogni giorno, non crede che mi sia meritato un briciolo della vostra fiducia?”
“E va bene, ma non dovrete farne parola con nessuno: ho sentito dire che in quel libro è nascosto un segreto.”
“Un segreto? Affascinante…e sapete anche di cosa si tratta?”
La donna esitò qualche istante, non sapeva se fidarsi di quell’uomo ma il turbamento provocatole dalla vista del giovane Van der Meer aveva fatto nascere il lei l’irrefrenabile bisogno di confidarsi con qualcuno.
“Non lo so per certo, ma ho avuto l’onore di essere stata la segretaria del dottor Herald Van der Meer per oltre dieci anni e, giunto in punto di morte, ha voluto che fossi io a trascrivere le sue ultime volontà. Ebbene, da quanto ho potuto intendere, quel libro svela il luogo in cui sarebbero nascosti gli ultimi beni che Herald è riuscito a sottrarre alla dissolutezza del figlio, quel cane che avete appena conosciuto.”
“Mio Dio, non avrei mai detto che quell’uomo…”
“Mi creda, signor Meijer, quella bestia è riuscita a far morire di crepacuore anche sua madre. Ora è in rovina, sarebbe disposto a tutto per scoprire cosa nasconde quel manoscritto.”
Dopo essersi ripreso dallo sconcerto, il libraio si ricompose e assunse il consueto tono professionale:
“Mi dispiace per tutta questa vicenda, signora Van de Kamp, ma io non posso fare altro che vendere il libro a quell’uomo, devo pensare prima di tutto ai miei affari.”
“Signor Meijer, non le stavo di certo chiedendo di non assecondare le richieste di un cliente, ero soltanto curiosa di sapere se quel mezzo uomo avrebbe avuto il coraggio di presentarsi a riscuotere la sua immeritata eredità e, come sospettavo, non si è fatto alcuno scrupolo. Domani quel libro arriverà, può stare certo che non perderà la sua vendita.”
Lasciando quelle parole sospese nell’aria, la donna uscì sulla strada chiudendosi la porta alle spalle e chiedendosi se non avrebbe dovuto essere più cauta nel raccontare i suoi segreti.
Stupida, si disse prima di salire sulla carrozza che la attendeva poco distante.

Intanto il libraio, ancora incredulo per tutto quanto aveva sentito nell’ultima mezz’ora, fissava lo scorrere di uomini e cavalli attraverso le finestre mentre un pensiero, che gli appariva decisamente riprovevole ma allo stesso tempo alquanto allettante, prendeva forma nella sua mente.

***

La forbice tranciò la corda che teneva unito un plico di libri isolato dal resto dei volumi appena consegnati. Le mani sfogliarono velocemente i titoli fino a quando non comparve un libricino con una copertina nera, macchiata soltanto dal titolo e dal nome dell’autore in un rosso scarlatto.

RESURREZIONE
di Herald Van der Meeer

“Eccolo.” Sospirò il libraio nascondendo il libercolo all’interno della giacca.
Le mani tremavano mentre schiacciava il tabacco nella pipa e lo sguardo restava fisso sulla polvere della strada, per non mostrare ai passanti l’emozione che gli scolpiva il volto. Per questo motivo non si accorse che da una carrozza, ferma a pochi passi da lui, due occhi attenti lo seguivano mentre varcava la soglia della libreria ordinando al commesso di portare all’interno la merce appena arrivata.
Appena rientrato sgattaiolò nel retro del negozio e si gettò sulle pagine del libro misterioso.
Sembrava un racconto come ne aveva letti tanti almeno fino a quando il protagonista, colpito da una grave malattia, non ebbe l’idea di nascondere le sue ricchezze in un magazzino abbandonato nella zona del porto vecchio per sottrarle a una banda di strozzini.
L’entusiasmo del libraio, però, si smorzò quando lesse che per accedere alla rimessa era necessaria una chiave che soltanto il figlio del defunto poteva possedere.
Poco male, pensò, non sarà difficile trovare un modo di entrare in un deposito abbandonato, gli infissi marciti dall’umidità cederanno senza opporre resistenza.
Entusiasta del suo piano, trascrisse in fretta l’itinerario che conduceva al magazzino e tornò agli affari della libreria.

Poco dopo l’apertura, Patrick Van der Meer si presentò come promesso e ricevette il prezioso volume dalle mani del libraio.
“Vi ringrazio, signor Meijer, forse…mi avete salvato la vita.”
“Davvero? Addirittura la vita?”
“Si, signor Meijer, la mia esistenza è legata al contenuto di queste pagine e se non mi aveste procurato questo libro, avrei già abbandonato ogni speranza di continuare a vivere.”
Terminati ringraziamenti e ossequi, l’uomo uscì in strada indifferente alle ultime parole consolatorie del libraio e corse verso la bettola in cui alloggiava. Aveva poco tempo per leggere il racconto e prepararsi a mettersi in azione, doveva agire quella notte stessa, era troppo rischioso per lui stazionare così tanto tempo nella città in cui, per anni, aveva seminato solo debiti e discordia.

***

La luna, quasi tonda, rendeva agevole il cammino dell’erede di Herald Van der Meer mentre superava vecchi scafi abbandonati, ancore arrugginite e brandelli di vela che svolazzavano senza padrone.
Trovò presto il magazzino e fece scattare la serratura con la chiave che il padre gli aveva consegnato tre mesi prima, senza fornire alcuna spiegazione: ti servirà, gli aveva detto, prima di quanto tu possa immaginare.
Scostò alcune casse vuote per liberare il passaggio verso l’angolo destro dello stanzone, si chinò facendo attenzione a non tagliarsi con i cocci di una finestra andata in frantumi e raggiunse il luogo indicato come quello del tesoro dal protagonista del racconto.
Accese una candela che aveva portato con sé e, all’interno di una cassa di legno coperta da una coperta sgualcita, trovò uno scrigno non più grande di una scatola per scarpe.
“Mi auguro che il valore non sia proporzionato alle dimensioni di questa scatoletta.” Mormorò nervosamente.
Lo infilò nella tracolla di pelle e uscì dal magazzino senza far rumore.

Avanzava lentamente in sella al suo cavallo pregustando il momento in cui avrebbe forzato la serratura per scoprire quale fosse il tesoro dei Van der Meer, poi, la voglia di sapere divenne incontenibile e con due colpi di stivale assestati sul fianco dell’animale lo lanciò al galoppo.
Percorse solo pochi metri quando una corda tesa tra la finestra di una casupola abbandonata e un moncone di albero maestro gettato contro a un muro falciò le zampe del cavallo, scaraventando a terra l’ululato di paura del cavaliere.
Una pietra, abbandonata proprio al centro della strada, fece il resto del lavoro andandosi a piantare nel cranio di Patrick Van der Meer.
Disteso in una posa innaturale e fatalmente agonizzante, non poté nemmeno riconoscere l’ombra che, invece di portargli aiuto, raccolse una seconda pietra dalla strada e la frantumò sulla sua tempia.

***
La pioggia frustava le finestre coprendo il crepitio della legna che si consumava nel camino, Annabel Van de Kamp posò il suo cappellino ancora fradicio sul tavolo e si sedette sulla poltrona davanti al fuoco con un fagotto di pelle umida fra le mani.
Lo svuotò con una mano e sorrise.
Si passò le dita sul collo e afferrò la catenina che le pendeva da anni sul petto. Dalla scollatura uscì una minuscola chiave con un motivo floreale finemente cesellato nell’impugnatura che richiamava il motivo ornamentale dello scrigno che teneva posato sulle gambe.
Quando il lucchetto lasciò libero il coperchio, la luce della candela rimbalzò sul tesoro spargendo dei piccoli raggi lucenti nella penombra della camera. Sotto al gioiello, una corpulenta saccoccia colma di fiorini.
Eccolo qui, Herald, il pegno che non hai mai potuto donarmi, l’anello che non mi hai mai potuto regalare, il simbolo dell’amore che non abbiamo mai potuto rivelare al mondo. É qui, qui nelle mie mani, e non puoi nemmeno immaginare quale soddisfazione sia stata per me raccoglierlo dalle grinfie di quel tuo figlio che mi ha sempre odiata.
Commossa, abbellì l’anulare sinistro con l’anello, prese il denaro e si avviò verso il porto dal quale sarebbe partita poche ore dopo.
Lungo la strada, però, aveva una questione da sistemare.

La porta sul retro della Pieter Meijer Warnars Library era ancora aperta: Annabel scivolò all’interno e sotto la luce di una lampada a olio ritrovò Pieter Meijer come lo aveva lasciato qualche ora prima quando, con la scusa di voler conversare di letteratura davanti a una tazza di té, lo aveva escluso dalla ricerca del libro dei Van Der Meer grazie a due gocce di sonnifero: mani e piedi erano stretti alle corde che lo ancoravano a una sedia e una benda gli serrava la bocca.
Ora, però, Peter Meijer si era risvegliato.
“Che peccato, signor Pieter, saremmo potuti diventare buoni amici, ma conoscete i miei segreti e io non posso permettervi di rovinare i miei piani.”
La donna prese un paio di grosse forbici e si avvicinò all’uomo che tentava inutilmente di chiedere pietà con gemiti terrorizzati e incomprensibili, lo fissò dall’alto in basso e gli conficcò le punte gelide al centro della gola.
Una fontana di sangue zampillò al centro della stanza e la vita fuggì in pochi minuti dagli occhi del libraio.

Annabel Van de Kamp uscì in silenzio sulla strada e, felice come non lo era mai stata, riprese la via per il molo dal quale sarebbe ripartita la sua vita.

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