La dea del mare

di Massimiliano Renaud

Il primo raggio di sole che sfugge all’ombra delle montagne regala una mezza manciata di gradi al litorale mentre un corvo, assonnato, pesca briciole umane mischiate ai granelli di sabbia.

Il fruscio ritmato delle onde si alterna con quello dello strano marchingegno con cui Alessio, il bagnino, filtra la spiaggia dai rifiuti tracciando a terra infiniti binari che, anche quel giorno, non verranno calpestati da nessuno.
Dalla notte dell’incidente, infatti, la superstizione e l’ignoranza hanno svuotato per sempre i lettini del bagno Sirena che, da quel dì, ha anche cambiato il nome per onorare la scomparsa fra i flutti della giovane donna. Ma anche la nuova insegna non ha sortito gli auspicati effetti e il bagno Simona, non riuscirà a vedere una nuova estate.
Terminato l’inutile lavoro, Alessio si avvicina al bagnasciuga per raccogliere i rifiuti che il mare ha trasportato durante la notte: un boccaglio da sub, una bottiglia di plastica, un sacchetto malridotto, un brillante…
Sotto alla sabbia, un sandalo dai metalli ossidati con incastonata qualche pietra preziosa fasulla che ha ancora la forza di splendere al sole. Qualche passo più in là, il suo gemello.
Senza sapere il perché, Alessio decide di non unirli al resto della spazzatura ma di riporli nella vecchia cabina dei tesori dove, ormai da trent’anni, l’uomo di mare custodisce le cose più strambe che le onde gli abbiano regalato. Niente di valore, ma un piccolo museo.
 Un pescatore, soddisfatto dei frutti del suo amo, si avvicina per sapere ciò che il mare ha reso. Alessio gli mostra i sandali prima di richiuderli nella loro nuova casa e si siede, sospirando, sulla sedia che lo sosterrà fino al tramonto.

Un pescatore, dopo tanto tempo, e con il secchio pieno per giunta. Così pensa Alessio.
Oltre alle persone, infatti, da quella caletta sembravano essere spariti anche i pesci. Un tuffo, un’onda, la sfortuna, il destino, tutti uniti nell’unico intento di spegnere la luce di una giovane vita e di affievolire quella del bagnino, ormai quasi vecchia.

Di nuovo mattina, di nuovo il fruscio delle onde alternato a quello dell’enorme “colino” da spiaggia, una boa ondeggia in attesa di qualcosa e una roccia, abbandonata a se stessa, riemerge dopo ogni onda come un naufrago che non vuole annegare.
Sotto lo sguardo di tre canne da pesca curvate sugli scogli, Alessio si appresta al rito del rifiuto notturno ma alla prima impronta sulla sabbia spianata dal mare, un pezzo di stoffa bianca gli avvolge la caviglia. Una maglia, la scritta HAPPY LIFE in rosso è ancora leggibile nonostante l’effetto distruttivo del sale.
Il bagnino apre l’uscio del museo per riporre la nuova reliquia ma un vecchio manichino rattoppato sembra alzare un braccio per richiamare l’attenzione. Appesa a uno degli arti di plastica, una parrucca bionda ancora intatta, perduta forse da qualche signora troppo vanitosa anche in mezzo al mare.
Dopo una strenua lotta contro polvere e ragnatele, Alessio riesce ad estrarre il corpo della finta donna dal mausoleo del mare e dopo averle procurato un robusto piedistallo in pietra, le lava via i segni del tempo. Una ghirlanda di fiori fra i capelli biondi, la maglia di taglia perfetta e i sandali luminosi ai piedi: Alessio guarda la sua creazione.
Sorride.

I tre pescatori, con i secchi pieni, si fermano davanti alla novella Venere di Milo e se ne vanno via soffiando qualche parola fra i denti. Giunti al luogo in cui si tramuta il pescato in oro, liberano dai loro ami la notizia dei ritrovamenti che balza come un delfino dai banchi del mercato alle vetrine delle botteghe, dalle strade intasate alle stanze delle case, fino a spegnersi al confine del paese.

Ancora l’alba, ancora fruscii alternati sotto gli occhi dei pattini con la vernice rossa ferita dalle crepe; sulla sabbia, una medusa si asciuga lentamente tradita da un’onda più vigorosa delle sue placide compagne.
Alessio ripone il filtradune e scende verso il mare scortato da una cinquantina di anime in sospeso: i piedi raggiungono la sabbia umida, poi quella fradicia, e inizia un nuovo, solito, rituale.
Un centinaio di occhi seguono le orme del bagnino mentre vengono inghiottite dalla schiuma che ribolle.
Accompagnati da un gemito collettivo di stupore, i passi del guardaspiaggia si arrestano e il cranio rasato inizia la discesa verso l’acqua.
Una gonnella nera, ancora avvolta da un velo di tulle quasi intatto.
I bambini si mettono a correre, le donne sussurrano il loro stupore e gli uomini versano quote per aggiudicarsi due metri quadrati di sabbia fino al prossimo autunno.
Completato il corredo della nuova “Signora della spiaggia”, Alessio allontana la sedia e si mette al bancone del bar, ci sono ombrelloni da smistare e chicchi marroni da spremere, tutti hanno voglia di una bella colazione in riva al mare.
Chissà se sei proprio tu, Simona.
Sospira.
Sorride.

La sveglia è suonata ancor prima del solito, c’è una spiaggia da lisciare, file indiane di ombrelli da riaprire e vassoi di croissant da far lievitare.
Le nuvole sparse a chiazze in cielo diventano rosa mentre quelle che abbracciano il sole nascente si trasformano in oro.
La spiaggia si riempie, in attesa.
Alessio è pronto al servizio ma nessuno si avvicina agli sgabelli del bar. Anche se la dama delle onde è vestita, tutti sanno che manca qualcosa, che arriverà, qualcosa.
La testa lucente si avvia ciondolando in un silenzio incontestabile, perfino il mare sembra distendersi delicato per non emettere nessun rumore. Il bagnino si blocca vicino a una roccia, nessuno parla, nessuno respira, un riflesso di luce si alza dalla sabbia.
Una collana, un ciondolo, un cuore. E dietro al finto muscolo d’oro, un nome.

Simona.

Tutti ridono, poi piangono e poi ridono di nuovo, Alessio si inginocchia per un attimo e stringe il cuore metallico al suo.
Ora è completa, ora è tornata, pronta a vegliare sul Bagno Simona come una dea del mare.

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