Fuga dal mostro

di Massimiliano Renaud

Insieme al senno, ho perso memoria del giorno in cui venni inghiottito dal mostro a nove occhi.
Ore, giorni, mesi, passati a strisciare davanti a una schiera di finestre senza potersi affacciare per non testare la mira dei cecchini, per non rischiare di sentire il cranio frantumarsi come una conchiglia calpestata.

Soltanto una volta provai a fuggire.

La luna dava il suo meglio rendendo giganti le ombre dei ratti. Mi calai dall’occhio numero cinque stringendo sterpaglie non più rampicanti e senza vita. Quando i piedi scalzi toccarono terra, mi guidarono in un nuovo rudere a non più di trenta passi di distanza, i prossimi trenta, la prossima notte.


Impossibile percorrere più strada senza essere scoperto.
Durante la mia prigionia forzata avevo calcolato tutto. Cinque chilometri al confine percorsi a trenta metri al giorno, facevano centosessantasei giorni e una morte certa che, senza rimpianti, mi accingevo ad affrontare.

Dopo ventiquattro nottate e settecentoventi passi di fuga, vana, come la speranza di restare vivo, l’ennesimo penoso relitto di casa accolse uno dei miei giorni da preda.


E fu proprio sotto alle fiamme mefistofeliche che il tetto squarciato proiettava sul muro, che sentii il freddo del ferro alla tempia.

In quell’istante, il destino mi sussurrò che non sarei mai più tornato.

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